Un popolo convocato dal Signore che, con letizia e semplicità di cuore, percorre le vie di una delle periferie storiche della grande metropoli, la Barona, per seminare speranza e vita buona, per riconoscere nel volto di ogni nostro concittadino, un amico,
La processione eucaristica che si snoda, con un lungo seguito di fedeli, in questa zona a sud est di Milano tra le chiese di Santa Bernardetta e San Giovanni Bono – riunite nella Comunità pastorale dal 2012 – attraversando il verde e i tipici edifici squadrati con tanti abitanti che hanno addobbato di lumini le finestre da cui si affacciano, danno il senso di un camminare insieme suggestivo e umanissimo.
Il cardinale Scola che presiede l’Eucaristia in Santa Bernadetta, guida la processione, portando tra le mani l’Eucaristia nel prezioso ostensorio ambrosiano. Concelebrano i Vescovi ausiliari – cui si aggiunge il vescovo emerito di Pavia, monsignor Giudici – tutti i Vicari episcopali di Zona e di Settore, i Canonici del Capitolo metropolitano della Cattedrale, con l’Arciprete. Ci sono i Diaconi permanenti, i Ministri straordinari dell’Eucaristia, i religiosi, le suore, i membri dei Consigli Pastorali, delle Confraternite e degli Ordini cavallereschi. Non mancano, come tradizione, i Gonfaloni del Comune, rappresentato dalla vicesindaco Balzani, della Città metropolitana con la consigliera Scavezzo, della Regione, di Associazioni religiose e civili e delle Articolazioni ecclesiali.
Insomma, un popolo, appunto in cammino, che tra canti, invocazioni, preghiera, ascolto della Parola di Dio e riflessione sulle Letture magisteriali degli ultimi Papi e del cardinale Giacomo Biffi, vuole essere un «segno umile di speranza», come ha scritto alla Diocesi, per l’occasione, il vicario generale, monsignor Delpini.
Quella speranza cui dà voce l’Arcivescovo davanti alla grande architettura di San Giovanni Bono che, come sotto una moderna e altissima tenda, pare proteggere e radunare i fedeli.
«Ci siamo lasciati convocare sulle piazze delle due chiese e abbiamo attraversato le strade di questo importante quartiere perché Gesù ci ha chiamato», dice subito il Cardinale, invitando a immedesimarsi con i Dodici «che sedevano a tavola con lui» e ascoltarono la notizia inaudita del suo corpo offerto e del suo sangue versato per coloro che lo avrebbero seguito e per tutta l’umanità».
Un dono anticipato nell’Ultima cena per gli Apostoli e dato perennemente «per cui, dopo duemila anni, noi possiamo adorare quanto pane che è corpo, come abbiamo fatto anche con il suo sangue, dal momento che il vino stesso fu trasformato. Possiamo, quindi, vivere alla sua presenza».
Questa la ragione della Celebrazione del Corpus Domini: «Essere di fronte alla sorgente viva della vita. Infatti, Gesù, nel Sacramento dell’Eucaristia, diviene contemporaneo non solo all’uomo che ne è consapevole e lo desidera, ma anche a chi no lo sa e potrebbe essere sempre sorpreso da tale presenza. Quale gioia e gratitudine in questo camminare, simbolo della nostra vita, espressione del desiderio di abitare in pienezza questo quartiere della Barona, la nostra città metropolitana, la Chiesa, il Paese, l’Europa, il mondo intero. Abitarlo dentro le sue contraddizioni, i suoi conflitti. Anche in questo quartiere c’è ancora spazio di degrado, di miseria e di ingiustizia. È “in” e “per” Gesù sacramentato che vogliamo abitarlo fino in fondo, facendo questo con la nostra piena fisionomia di uomini, con il dono che è Cristo stesso» che ci riprende sempre dal di dentro delle nostre debolezze, errori e peccati, «per poterci accostare al preziosissimo Sacramento del perdono».
Dopo il dono, il perdono e la comunione – fin da piccoli siamo stati abituati al momento in cui il cibo diventa vita eterna, bevanda di totale salvezza che viene dall’Eucaristia, espressione dell’amore di Dio Trinità – «dobbiamo essere capaci di trattarci l’un l’altro con la misericordia stessa di Dio, poiché siamo un’unica Chiesa, una sola famiglia umana e tutte le Chiese, pur nelle loro distinzioni hanno a che fare con Gesù Cristo». Un «farsi prossimo» in cui si situa la riscoperta dalle opere spirituali e materiali che stiamo facendo in questo Anno Santo: «Nessuno si senta esonerato dal praticarne, almeno una di tanto in tanto. Sono tante le nostre debolezze e limiti, la mancanza di coraggio, eppure ci sono tra noi santi che sempre hanno legato l’Eucaristia alla carità e ci sono i nostri fratelli e sorelle che donano la loro vita per affermare la fede, i perseguitati che devono lasciare, in una notte, tutto e scappare».
Il pensiero è i monaci algerini di Thibirine, alle Suore Missionarie della Carità trucidate in Yemen a marzo, ma anche ai volti non noti, come coloro che nel nord della Nigeria, per andare a Messa, devono mettere in preventivo di poter perdere la vita.
Da qui il perché di «questo gesto molto bello compiuto in meditazione e in silenzio che la vostra numerosa presenza e preghiera esprime».
«Facciamo questo per tutte le donne e gli uomini che vivono nella nostra amata Milano, come segno di speranza perché in quella Eucaristia c’è il germe della nostra risurrezione. Nessuno andrà perduto, ci rivedremo, ci ritroveremo nella gloria del Risorto che ci assicura che non finiremo nel niente e che staremo sempre con Lui»
«Camminare per le vie della città vuole dire seminare la speranza che non delude, speranza duratura che dà letizia. Da tale speranza scaturisce quella capacità di riconoscere nel volto di ogni nostro concittadino, un amico, indipendentemente dalle sue reazioni. Dobbiamo essere diffusori di amicizia civica anche in una società come la nostra dove convivono visoni del mondo molto diverse che si incontrano, ma anche che entrano in conflitto. Una speranza che vogliamo sia di tutti, che Gesù dona come possibilità a tutti».