Sono 341 i profughi in fuga dalla Libia che, dopo essere sbarcati a Lampedusa, sono stati accolti negli ultimi due anni negli appartamenti, nelle comunità e nei pensionati individuati dalla Caritas Ambrosiana. Sono una piccola parte di quel popolo di viaggiatori della speranza al quale Papa Francesco lunedì scorso è andato a rendere omaggio, visitando l’isola al largo delle coste siciliane, pregando e invocando il perdono per quelli che non sono mai arrivati perché annegati in mare.
Tra gli ospiti accolti nei centri della Caritas Ambrosiana quasi un centinaio ha trovato opportunità di formazione o di lavoro. C’è chi ha imparato a fare il cameriere, l’imbianchino, il cuoco, l’agricoltore. Qualcuno è riuscito a essere assunto. Gli interventi sono stati resi possibili dai finanziamenti stanziati dallo Stato per far fronte alla cosiddetta Emergenza Nord Africa: 45 euro al giorno per persona girati attraverso le Prefetture agli enti convenzionati per assicurare vitto, alloggio e accompagnamento sociale da maggio 2011 al 31 marzo di quest’anno. Senza i contributi pubblici, non sarebbe stato possibile sostenere l’accoglienza di tante persone. Ma difficilmente gli esiti sarebbero stati tanto lusinghieri se non si fosse mobilitata la rete della solidarietà ambrosiana. Volontari, operatori, parroci si sono presi a cuore il destino delle persone che hanno incontrato. E sono sempre loro che ancora oggi aiutano i 40 ospiti incapaci di rendersi autonomi che rimangono nei centri Caritas anche senza sostegni pubblici.
Seydou Coulibaly, originario del Mali, dopo essere sbarcato a Lampedusa, è arrivato a Magenta. Qui ha conosciuto i volontari della Caritas cittadina. «Sapevamo che era molto qualificato – racconta Aurelio Livraghi della Caritas magentina -: in Mali si era laureato in giurisprudenza ed era assunto da un avvocato. Così appena ha terminato il corso di italiano in parrocchia, ci siamo messi subito alla ricerca di un lavoro adeguato». Livraghi lo aiuta a scrivere il curriculum e ad inviarlo a chi potrebbe essere interessato. A giugno 2012 un commercialista che ha lo studio in città lo assume in prova e poi, tre mesi fa, a tempo indeterminato.
Quello di Seidou non è il solo caso di successo. N’diaje Daouda faceva parte dello stesso gruppo dei 25 profughi che nel 2011 arrivarono nella cittadina dell’Altomilanese. Nato in Costa d’Avorio, prima di essere costretto ad abbandonare la Libia, nel Paese nordafricano lavorava come saldatore in una piccola azienda. A Magenta non trova soltanto un posto dove dormire e mangiare. Anche lui frequenta i corsi di italiano. I volontari della Caritas lo incoraggiano, pensano al suo tempo libero coinvolgendolo nell’allestimento di uno spettacolo teatrale. Nel frattempo si preoccupano anche del suo futuro. A maggio 2012 si viene a sapere che un’azienda di Senago, un Comune vicino, cerca proprio un saldatore. Daouda potrebbe essere la persona giusta. Superato il colloquio, firma un contratto di formazione di 4 mesi che a settembre 2012 diventa a tempo indeterminato.
Certamente, non tutte le storie hanno avuto conclusioni altrettanto brillanti. Maiga Abbas ha lavorato tre mesi in una cascina in Friuli. Ma ha capito che il suo destino non è in Italia e ora sta cercando di tornare in Niger. Dopo l’attraversata in mare, lo sbarco nella primavera 2011 e un’odissea non meno avventurosa tra i centri di accoglienza sparsi per la Penisola, alla fine Maiga arriva a Seveso. I volontari della parrocchia segnalano il suo caso alla cooperativa Farsi Prossimo della Caritas ambrosiana che sta avviando alcuni tirocini formativi in aziende agricole del Nord Italia. E così a Maiga viene proposto un periodo di formazione in una fattoria biodinamica nel Comune di Codroipo in provincia di Udine nella zona delle risorgive friulane. A febbraio 2013 si trasferisce in azienda. Terminato il tirocinio, capisce che non ci sono possibilità in Italia. Così con l’aiuto dell’Oim, l’organizzazione internazionale per le migrazioni che gestisce il programma dei rimpatri assistiti, sta ora cercando i finanziamenti per aprire in Niger un’azienda sul fondo agricolo lasciatogli dalla famiglia.