Interrogarsi su una Rivista importante, internazionale, diffusa nel mondo e tradotta in più lingue, e farlo perché, dopo dieci anni e venti numeri pubblicati, si è deciso di rinnovarne l’immagine, lo stile grafico così come l’editore.
Nella sede della Fondazione omonima si parla di Oasis, il semestrale, d’ora in poi, edito da Marsilio in una bella veste editoriale, che muta anche di formato. Non è solo un restyling, ma un nuovo “corso” sostanziale, quello che si inaugura, seppure nella fedeltà alla tradizione di promozione della conoscenza reciproca tra Cristianesimo e Islam.
A partire naturalmente dal cardinale Scola, che volle la Fondazione come Patriarca di Venezia, si confrontano, così, nomi di rilievo: i direttori del Corriere della Sera e di Avvenire, Fontana e Tarquinio, il caporedattore della redazione milanese di Repubblica, Rho, e una docente di grande fama, come l’islamologa Shahrzad Houshmand. Giornalisti e intellettuali perché, come spiega Maria Laura Conte, direttore editoriale della Fondazione Oasis, si tratta di «panel scelto sul crinale tra Media e contenuti, come è peculiare di Oasis».
I giornalisti
E, allora, la prima domanda è per Luciano Fontana e riguarda il senso di una Rivista semestrale quando il tempo della comunicazione è così incalzante.
La risposta è, insieme, venata di speranza e di preoccupazione: «Siamo quasi assediati dalle notizie e questo comporta un’informazione che spesso è frastuono e non approfondisce. L’esperienza di un giornalismo capace di fare riflettere è un punto su cui occorre insistere. Quindi, avere a che fare con una Rivista in cui ho trovato una buona combinazione di approfondimenti storici, interviste interessanti, attualità coniugata con indicazioni precise e schede molto accurate, è importante. Anche perché Oasis offre un cambio di prospettiva fondamentale: parlare non “dei” ma “con” i musulmani», osserva Fontana.
E se la paura è il tratto del nostro attuale rapporto con l’Islam, «anche per la declinazione di un conflitto che sta diventando globale, per le difficoltà del rapporto con chi fugge da quelle terre, senza dimenticare la persecuzione dei cristiani», è cruciale capire «che l’Islam non è uno, ma molti e che alcune paure sono presenti anche all’interno del mondo musulmano. Il meticciato è un punto focale che porta alla radice della questione, soprattutto in una situazione come quella del nostro Paese, dove questa stessa è trattata una maniera elettorale o elettoralistica».
Gli fa eco Marco Tarquinio, che, ricordando i legami e gli scambi tra la Rivista e il giornale che dirige, dice: «leggere Oasis è spezzare un pane proficuo. L’Italia, come terra ponte, permette di vivere una condizione privilegiata. In un momento che si va facendo intensamente di guerra e di sospetto, si ha bisogno di luoghi fisici di convivenza e di luoghi di carta, anche perché gli spazi di pietre diminuiscono. Basti pensare ad Aleppo, area cosmopolita millenaria, che ha visto diminuire di metà i suoi abitanti in un anno. Occorre capire i misfatti stiamo compiendo e di cosa ci chiederà conto la storia, specie per le occasioni che non abbiamo còlto in Europa, che è e rimane uno straordinario laboratorio di convivenze. Questa è l’Europa che si vorrebbe dividere con un muro di repulsione e di distanza tra sponda e sponda del Mediterraneo».
Ma se la libertà è anche «responsabilità di comprendere la convivenza possibile come convivialità delle differenze; se l’Italia è stata sempre un crocevia grazie alla cultura basata sul cristianesimo», si fa urgente «una intercultura che non è la sbornia del multiculturalismo, ma avere ciascuno, nella propria identità, un alfabeto, un linguaggio comune».
Concorda Roberto Rho: «laddove l’Italia è la terra dell’incontro, Milano e la città di mezzo. Paura, tolleranza, solidarietà, accoglienza, integrazione, sono termini che ricorrono con grande frequenza, e che trovano a Milano, città in evoluzione impetuosa, temi dai quali nessuno può chiamarsi fuori. Temi che ormai troviamo nelle nostre scuole, famiglie, condomini, consigli di Zona».
Il pensiero è anche per il ruolo che, in questo orizzonte, ha l’informazione. «I giornali cartacei hanno subìto un notevolissimo calo di vendite, ma se consideriamo anche solo i primi dieci siti di informazione nazionale, si arriva a 7,8 milioni di utenti nel giorno medio. Se aggiungiamo i lettori del cartaceo, gli ascoltatori dei telegiornali e della radio, ci si rende conto che mai come ora l’informazione è diffusa. Tuttavia, il tempo di fruizione, medio su un sito web varia quotidianamente tra i cinque e sei minuti: questo è il vero problema dei nostri giorni. Tempo e capacità di riflessione sono ciò che manca oggi. Se l’informazione è necessaria per costituire un cittadino pienamente consapevole, si tratta di ritrovare il legame tra ciò che accade a livello internazionale e sul pianerottolo di casa nostra. E questo meritoriamente fa Oasis, come strumento di lavoro e riflessione».
La studiosa di Islamologia
Houshmand, docente di Islamologia presso la Pontificia Università Gregoriana, scandisce: «la parola Oasis, significa un luogo migliore di un deserto fatto di incomprensione se non di odio, uno spazio abitabile che può arrivare a far fiorire quello stesso deserto. Questo è il ruolo dell’elaborazione della conoscenza»
E la studiosa cita, allora, san Giovanni Paolo II, che a Damasco davanti alla Moschea Omayyiadi sottolineò, «sia i musulmani che i cristiani hanno cari i loro luoghi di preghiera come oasi in cui incontrare il Dio misericordioso», e papa Francesco che, a una ventina di rappresentanti di diverse religioni, tra cui appunto la relatrice, disse: «Importante è camminare, l’orrore e l’errore è fermarsi»
«È un drammatico errore – conclude – giudicare 1 miliardo e 700 milioni di persone da una piccola minoranza di violenti. Sono centinaia i pensatori che cercano di mettere in rilievo che il vero Islam rifugge dalla violenza, ma questo spesso non conviene al potere locale. Il vero lavoro intelligente da fare è ampliare Oasis e le oasi per fare rifiorire il deserto».
L’intervento del Cardinale
Poi, è la volta del Cardinale che racconta l’origine dell’idea portante di Oasis, come «cammino iniziato quindici anni fa da un incontro, a Damasco nel maggio del 2000, organizzato dal Nunzio Apostolico con i rappresentanti dei sette Riti orientali in mio onore, come del rettore della Pontificia Università Lateranense. Mi trovai oggetto di una critica dura, nell’accusa che l’Occidente non faceva nulla per comprendere i cristiani viventi nei Paesi a maggioranza musulmana, rimanendo nell’ignoranza dei diversi Riti orientali e dell’Islam stesso. Quando divenni Patriarca di Venezia intravidi la possibilità di fare qualcosa e nel 2004 nacque Oasis».
Da qui, un primo elemento: «ascoltare sempre chi soffre sul campo, e, oggi, naturalmente ancora di più imparare dal loro sacrificio e martirio»; poi, un secondo, «l’introduzione del concetto del meticciato di culture e civiltà, non certo come un impossibile e inattuabile sincretismo, ma come processo in atto e ormai divenuto visibile fisicamente, per cui si tratta di avere pazienza creativa e costruttiva nell’orientarlo. D’altra parte, a pensarci bene, anche l’Isis è meticcia, con più della metà dei militanti estremi che viene dall’Occidente».
Tanti mutamenti avvenuti in questi anni, dalla situazione internazionale ai mezzi della comunicazione e ai Social, impongono, quindi, un cambiamento. Lo dice con chiarezza il Cardinale: «Il passo in più che vogliamo fare è passare dalla descrizione dei fatti, per la conoscenza reciproca, alla valutazione critica dei fenomeni e dei dati. Un passo verso un tentativo di giudizio a cui serve la “fatica del pensiero”, andando al di là del puro racconto. Questa fatica deve essere fata come cristiani e musulmani».
Insomma, parlare con gli Islam e non di Islam. «La paura è sempre cattiva consigliera, va fatta evolvere attraverso le ragioni, procedendo, in senso ecumenico, consapevoli che c’è un disegno buono di Dio nella storia. Andare, dunque ad un’amicizia civica, mirando di più al dialogo con un Islam di popolo».
E, infine, un terzo elemento: «considerare la sfida che ci viene dall’Islam come uno sprone a ragionare sulla crisi di noi europei».
Come a dire, tra accoglienza, meticciato come fenomeno da orientare, crisi del soggetto europeo, la domanda è sempre chi vuole essere l’uomo del terzo millennio. Una chiamata al risorgimento, al risveglio, anche perché Milano ritrovi una sua anima, dove anche Expo può essere una parte bella di questa provocazione, un segno per il futuro.
Chiude l’incontro Martino Diez, il direttore scientifico della Fondazione, che evidenzia la concretezza del mutamento di Oasis, con una maggiore presenza sui New media, che permette una maggiore diffusione e conoscenza, e avanzando l’ipotesi di più incontri del Comitato scientifico, magari ristretti per aree geografiche del mondo, pur rimanendo la forma della riunione plenaria, che proprio a Milano nel 2013 ebbe la sua sede.