Colloquio a tutto campo con monsignor Giovanni Angelo Becciu, sostituto per gli affari generali della Segreteria di Stato della Santa Sede. Dall’elezione di Papa Francesco alla «scelta evangelica per i poveri», proposta «in tutta la sua forza». Dall’invito ad andare nella periferie, «più vicine di quanto non indichi il termine», alle nuove vie di evangelizzazione, fondate su «una pastorale dell’incontro personale» e sulla «pietà popolare». Dall’Esortazione Evangelii gaudium, che «ha riscosso un enorme interesse», all’augurio per il Natale: «La gioia del Vangelo raggiunga tutte le nostre periferie esistenziali».
Eccellenza, l’elezione di Papa Francesco, venuto «dalla fine del mondo» ha operato uno spostamento dei punti di vista, con l’invito – ribadito più volte – a mettersi dalla parte dei poveri, che poi è il “punto di vista” del Vangelo…
Quello dei poveri è certamente uno dei temi portanti dell’Esortazione Evangelii gaudium, ma penso che per capirlo fino in fondo si debba leggerlo nel quadro di un altro tema che emerge con forza ancora maggiore nel testo, quello della missionarietà. La Chiesa incontra i poveri perché è mandata, e quindi esce per annunciare il Vangelo, che è destinato in primo luogo ai poveri: «Mi ha mandato ad evangelizzare i poveri». È qui la chiave di lettura che permette di evitare ogni interpretazione puramente sociologica del povero e dell’azione in favore del povero: nei poveri noi sappiamo di incontrare la carne di Cristo, le sue piaghe, come ama ripetere il Papa. È “puro Vangelo”, come direbbe il Papa, quindi un tema che non è nuovo, ma che ci viene proposto in tutta la sua forza da Papa Francesco il quale, direi, si fa qui portavoce di quella grande ricchezza e vitalità propria della Chiesa in America Latina, una Chiesa che da decenni ha maturato la scelta preferenziale per i poveri. Non dobbiamo infatti confondere le storture di una parte della cosiddetta Teologia della liberazione, dalla scelta evangelica per i poveri, ribadita in tutti i documenti dell’Episcopato latinoamericano e, direi, ancor di più, nell’azione quotidiana delle Chiese in America Latina.
Uno dei termini più ricorrenti nel linguaggio del Pontefice è «periferie». Quali sono oggi le «periferie»?
Cosa intenda per «periferie», il Papa stesso lo ha spiegato più volte: tutto ciò che è marginale per la cultura dominante, ogni persona che viene considerata un po’ come uno “scarto” dal sistema produttivo e dalle nostre società, caratterizzate dalla lotta per chi arriva primo, per chi è più ricco, più veloce, più appariscente. Le periferie delle grandi città sono un simbolo dell’essere tagliati fuori da ciò che conta, un simbolo di quelle periferie esistenziali di cui il Papa parla spesso, che sono molto più vaste e che toccano ogni uomo che a un certo punto della sua vita si sente solo, impotente, messo da parte. Diciamo che la «periferia» è più vicina di quanto non indichi il termine: è ogni uomo non sfiorato dalla nostra attenzione, dal nostro amore.
E quali prospettive e nuove vie di evangelizzazione si aprono da questo messaggio del Santo Padre?
Il Papa ci chiede di adottare la stessa prospettiva di Dio: partire dalle periferie, materiali ed esistenziali, perché Dio ha fatto così, e anche perché il mondo, l’uomo, si capiscono meglio partendo dalla periferia. È un invito a essere presenti, come comunità cristiana, in tutti i luoghi di emarginazione, di sofferenza, di povertà, diventando testimoni della misericordia di Dio, della sua passione e compassione per ogni uomo e donna. Per quanto riguarda le vie di evangelizzazione, mi pare che il Papa prediliga, rispetto a una pastorale dell’organizzazione e delle grandi strutture, che pure talvolta sono necessarie, una pastorale dell’incontro personale, della presenza il più possibile capillare sul territorio, là dove l’uomo effettivamente vive. È la sfida che ogni cristiano possa sentirsi «discepolo missionario» – un’idea chiave del documento di Aparecida, che ha raccolto i risultati dell’assemblea generale dell’Episcopato Latinoamericano tenutasi nel 2007. Un’altra fondamentale via di evangelizzazione, richiamata ad Aparecida e ripresa con particolare profondità e acume dal Papa nell’Esortazione, è quella della pietà popolare. Il Papa ne parla come dell’espressione della missionarietà spontanea del Popolo santo di Dio, come manifestazione di una vita teologale animata dallo Spirito Santo. È una spiritualità incarnata nella cultura dei semplici, mediante la quale il popolo evangelizza se stesso continuamente».
L’Esortazione Evangelii gaudium si presenta come una delle pietre miliari di questo pontificato. Come è stata accolta nel mondo? Quali reazioni ha suscitato? Ci sono punti da sottolineare?
L’Esortazione ha riscosso un enorme interesse, per i temi di cui tratta, per le nuove prospettive che apre e, credo, anche per il modo diretto con cui il Papa si esprime. I temi centrali sono quelli della missionarietà, dell’uscita della Chiesa da se stessa, del Popolo santo di Dio, in tutte le sue componenti, come soggetto dell’evangelizzazione. Ritengo che essa avrà indubbiamente un grande impatto, che crescerà con il tempo, a mano a mano che attraverso lo studio e l’approfondimento si andranno assimilando le questioni che essa mette sul tappeto. Si deve anche sottolineare che l’Esortazione si presenta come una sorta di documento aperto: il Papa in molti passaggi prende spunto da pronunciamenti di Episcopati dei diversi Continenti, e a sua volta invita i Vescovi e le Chiese particolari ad applicare l’analisi alle rispettive realtà, a completarla, e a portare avanti il discorso. È l’indice di un altro aspetto particolarmente significativo, quello della collegialità, che sta particolarmente a cuore a Papa Francesco».
Tra pochi giorni sarà Natale. Qual è il suo augurio per le prossime festività?
L’augurio è che la gioia del Vangelo, Evangelii gaudium, raggiunga tutte le nostre periferie esistenziali, e renda ciascuno di noi un «discepolo missionario» di quella stessa gioia.