“Depurata” dalla ricerca esasperata del risultato a tutti i costi
e dalle degenerazioni prodotte dai risvolti economici, la pratica
sportiva può proporsi come modello di comportamento nell’ottica
dell’educazione e formazione della persona nella sua globalità
di Pierluigi Marzorati
Gli sviluppi dello scandalo del calcio, la penalizzazione di Schumacher a Montecarlo, la polemica con reciproche accuse tra Basso e Simoni al termine del Giro d’Italia… Da ex giocatore, confesso che ho provato fastidio e dispiacere nel leggere queste notizie riunite sulle prime pagine dei quotidiani sportivi solo qualche settimana fa.
Intendiamoci: credo che certi fatti siano accaduti anche in passato, non voglio puntare il dito contro nessuno. Solo che un tempo si rimaneva entro certi limiti, che oggi invece sono stati completamente oltrepassati. Stiamo assistendo alle conseguenze di una ricerca esasperata del risultato a ogni costo, in funzione del risvolto soprattutto economico dell’evento sportivo, che ormai ha preso il sopravvento su tutto il resto.
Se la qualità di un atleta è commisurata esclusivamente al suo aspetto economico, a sua volta dipendente dalle vittorie che ottiene, e’ inevitabile che, per vincere, si provi tutto e valga tutto: anche l’inganno nei confronti dell’avversario, anche la predisposizione di un arbitraggio, anche l’accomodamento di un risultato. Al di là di ogni dimensione, contro qualsiasi trasparenza, a scapito di qualunque certezza.
Da più parti, nelle ultime settimane, è stato detto che questi eventi “uccidono” la passione dei tifosi. Personalmente credo che i tifosi, soprattutto quelli di una certa età, siano ormai “vaccinati”: leggono, incassano e dopo un po’ (purtroppo) dimenticano. Ciò di cui invece ci si dovrebbe preoccupare è la ripercussione di questi scandali nel “sentire” dei giovani e dei giovanissimi. Quale credibilità può conservare lo sport presso di loro? Come guarderanno allo sport d’ora in avanti?
Il pericolo di una visione distorta è notevole, e sarebbe un vero peccato. Perché lo sport, nella sua dimensione originale, è e resta una scuola di vita: sono poi gli uomini, “manipolando” le regole del gioco per tornaconto che con lo sport hanno poco o nulla a che fare, a farlo uscire dai binari che gli sarebbero propri.
Più volte il cardinale Tettamanzi ha insistito sul concetto degli sportivi come «uomini veri». Nella realtà, purtroppo, più che un’equazione questo rappresenta talvolta solo un auspicio. Non so se chi pecca di lealtà nello sport sia “meno” uomo. So però – perché lo si può constatare tutti i giorni – che un certo deficit di umanità caratterizza molti ambiti del quotidiano: dove non c’è tolleranza, mediazione, disponibilità nei confronti dell’altro, l’umanità viene meno e prevale il conflitto, lo scontro, la contrapposizione anche violenta. Nella vita e quindi anche nello sport.
Come uscirne? Innanzitutto, non certo con un “colpo di spugna”: chi ha sbagliato deve essere punito; le regole devono essere ripristinate; occorre eliminare qualsiasi possibile conflitto d’interesse. Per una “riforma” dello sport in questo senso, non penso sia strettamente necessario un maggiore coinvolgimento – a livello dirigenziale e gestionale – degli ex campioni, quanto un forte richiamo alla coscienza delle persone.
In secondo luogo, lo sport d’élite, che da sempre rappresenta un punto di riferimento per la pratica di base, per una volta potrebbe invertire questo rapporto e provare a mutuare dall’associazionismo, dal volontariato, dagli amatori, quei valori di aggregazione, di divertimento e di spensieratezza che fanno da collante a prescindere dai soldi.
In concreto, all’interno della Commissione diocesana per la pastorale dello sport professionistico – costituitasi due anni fa e della quale faccio parte -, sono state formulate alcune proposte che reputo importanti. Innanzitutto c’è l’interesse a conservare sempre viva l’attività sportiva all’interno dell’oratorio: non solo per quanto riguarda la sua dimensione agonistica o competitiva, quanto per l’importanza che riveste nell’incontrarsi, nello stare assieme, nel conoscersi.
C’è poi l’impegno a mantenere lo sport in una cornice di correttezza: anche negli oratori, purtroppo, si assiste talvolta a comportamenti sbagliati provocati dall’esasperazione del risultato; la vittoria è importante, bisogna giocare per vincere, ma sempre nel rispetto delle regole.
Infine c’è un messaggio da trasmettere ai dirigenti e ai responsabili federali: i princìpi morali e gli aspetti educativi devono essere assolutamente prioritari e non essere confusi con le valutazioni del cartellino di questo o di quel ragazzino. Solo così lo sport potrà continuare a proporsi come modello di comportamento nell’ottica di un’educazione e di una formazione della persona nella sua globalità, evitando di perseguire falsi obiettivi o facili illusioni a cui potrebbero andare incontro ragazzi che guardassero allo sport solo come a un tornaconto economico.