C’è tutto il corpo accademico dell’Università di Saint Joseph, fondata a Beirut 140 anni fa dai gesuiti, ad attendere il cardinale Angelo Scola. Con loro anche altri intellettuali e uomini di cultura libanesi. Il rettore dell’ateneo, monsignor Selim Daccache, è nel comitato scientifico di Oasis e con Maria Laura Conte e Martino Diez ha organizzato l’incontro. I maroniti sono molto presenti e attivi in ambito culturale, accademico ed educativo e Saint Joseph è la seconda università per importanza di tutto il Libano.
Il cardinale Scola presenta il progetto di Oasis, giunto al decimo anno di vita e rinnovato dopo venti numeri della rivista, il nuovo formato, le nuove modalità di fruizione on line della rivista, la newsletter. Spiega perché è nata «come strumento per la conoscenza reciproca tra cristiani e musulmani» al tempo del meticciato di popoli e culture, con l’impegno di promuovere l’incontro autentico e il dialogo tra loro. Da qui la costituzione di un comitato scientifico fortemente internazionale e la comunicazione in diverse lingue, tra cui l’urdu e l’arabo. Uno strumento, Oasis, per offrire chiavi di lettura sintetica di quanto accade nel Medio Oriente e a casa nostra, a partire da uno sguardo di fede.
E il cardinale Scola sfrutta l’occasione e pone al centinaio di qualificati interlocutori raccolti nell’Aula magna alcune domande: «Come vedete l’avvenire della Siria e del Libano? Cosa è successo qui nell’incontro tra modernità, post-modernità e tradizione? Come accompagnare e coltivare la speranza in questo tempo?». Ne nasce un ricco e articolato dibattito, acceso a volte, in cui le voci e le posizioni libanesi si misurano e confrontano. Una “polifonia” che apre spazi di comprensione inediti della situazione medio-orientale e sui modelli di coesistenza tra cristiani e musulmani.
È una docente ad aprire il dibattito, con una riflessione sulla realtà della presenza sulla stessa terra di più confessioni religiose e una tesi forte: «Qui i cristiani non si percepiscono come minoranza da proteggere da parte dell’Occidente. La mentalità è cambiata molto. Le persone si percepiscono sempre più come libanesi prima che come cristiani, sciiti o sunniti. Stiamo uscendo dall’idea di minoranza per pensarci come cittadini».
Per un altro professore, un musulmano, «sono i musulmani che sono arrivati a porre la riflessione sul ruolo dei cristiani in Libano e a constatare come la religione non abbia nulla a che fare con il terrorismo. Nell’Islam oggi il problema è l’interpretazione dei testi. Non può restare immutata nei secoli: c’è bisogno di una riforma, aggiornando le categorie interpretative».
C’è invece chi pone una domanda cruciale a proposito anche dell’attualità politica libanese: «Ma i cristiani sono attori o spettatori in questo Paese? Dobbiamo porci una domanda forte sulla nostra missione di cristiani. Siamo la religione dell’incarnazione e dobbiamo interrogarci su cosa significhi per noi restare incarnati in questo Paese».
Un docente ha poi riformulato con un’espressione originale la categoria di meticciato di popoli e cultura: «Abbiamo bisogno di spazi inclusivi, di osmosi culturale. Abbiamo bisogno di creare e salvaguardare spazi inclusivi a livello locale e globale, per condividere l’eredità comune». Secondo un altro esponente musulmano, «i cristiani e i musulmani in Oriente hanno preso coscienza del proprio ruolo, sono più vicini reciprocamente. Abbiamo la missione, qui in Libano, di trovare un cammino comune tra arabi che dia speranza. A volte i cristiani sono più musulmani dei musulmani a proposito della conoscenza del Corano. I problemi non mancano: Isis costituisce una sfida anzitutto all’Islam. E poi all’Occidente, che non ha fatto ancora i conti con la presenza dei musulmani, specie in Europa».
Un’altra voce islamica fa autocritica: «Da sempre siamo pronti a dare corpo a teorie di complotti esterni, stranieri, per spiegare i nostri problemi. Ma occorre essere realisti, andare veramente alla radice degli elementi problematici che fanno veramente paura. Isis, per esempio, che non è una novità, ma riprende derive negative del passato. Occorre moltiplicare azioni favorevoli al dialogo per fare un solo popolo».
Un giurista sposta il discorso sugli aspetti più politici di quest’area: «Ci sono casi gravi in cui noi siamo stati spettatori, se non complici, favorendo regimi tirannici. Come cristiani dobbiamo passare dall’idea rassicurante di essere protetti da un tiranno, con tutto ciò che di negativo ne consegue, alla convinzione che a proteggerci deve bastare la legge. Non dobbiamo ricorrere e diventare complici di alcun tiranno potente. Il Libano vive questo complesso di dover essere protetto. Usciamo dalla strategia della complicità per diventare attori, non spettatori dei processi. Occorre difendere lo stato di diritto. Perdere la possibilità di convivenza e dialogo in Libano significa perdere tutto il Medio Oriente». Non mancano gli interventi che criticano i precedenti per «eccessivo buonismo»: «La situazione per i cristiani, specialmente in Siria e Iraq, è drammatica per via della persecuzione. Anche in Libano occorre superare la divisione tra cristiani».
Maria Laura Conte e Martino Diez, direttori di Oasis, sono rimasti «molto colpiti dalla disponibilità al confronto di questi accademici. Il lavoro di questi dieci anni di Oasis sta portando i suoi frutti. Nel dialogo è emersa la conferma che servono strumenti che aiutino a conoscerci, tra Oriente e Occidente, tra uomini e donne di fede e culture diverse, e soprattutto chiavi per interpretare la situazione complessa del Medio Oriente, che investe sempre più da vicino l’Occidente».
«Con questo incontro abbiamo raggiunto l’obiettivo principale che ci siamo prefissi: ascoltare», ha concluso il cardinale Scola.
Nel pomeriggio la delegazione guidata dall’Arcivescovo ha visitato rapidamente la zona archeologica di Tiro, a sud di Beirut.