È un Decanato grande – 143 mila abitanti diffusi tra 6 Comuni per un totale di 19 parrocchie – quello di Cernusco sul Naviglio, in cui il cardinale Scola apre la Visita pastorale con l’Assemblea ecclesiale nel gremito Teatro Don Bosco di Carugate. In Zona pastorale VII, è una realtà vivace e ricca di iniziative, come ben si comprende dal breve filmato che ne illustra la composizione. Nelle prime file siedono una trentina tra sacerdoti e religiosi, ma non mancano il sindaco di Carugate Luca Maggioni e le autorità militari e civili. Accanto all’Arcivescovo, il vicario episcopale di Zona monsignor Piero Cresseri e il decano don Claudio Silva, arciprete di Sant’Andrea in Carugate, che dà il benvenuto.
Pensare Cristo attraverso tutte le cose
Lo scambio della pace, la lettura del brano di Atti 2,42-47 e la preghiera avviano la riflessione del Cardinale che spiega lo scopo generale dell’iniziativa – «si trova nel “Direttorio” che definisce la Visita pastorale un’espressione privilegiata del Vescovo per esercitare la propria responsabilità nel convocare il popolo, nel guidarlo, nell’incoraggiare e nel consolare» – e il suo obiettivo specifico. Visita volutamente “feriale”, che nasce dalla constatazione della frattura diffusa oggi tra la fede e la vita. Chiaro il fine da raggiungere: «L’educazione al modo di pensare e di sentire di Gesù in ogni momento della vita, anzi, come diceva San Massimo il Confessore, pensare Cristo attraverso tutte le cose». Infatti, «o Gesù è nel quotidiano della nostra esistenza o non c’è e, allora, il fossato tra la pratica della fede e la vita si allarga».
La Comunità educante
Attraverso cinque “immagini” o suggestioni, partono le domande, elaborate a livelli delle realtà parrocchiali e decanali, che sono vere e proprie analisi a più voci del vissuto della comunità. Prima questione, la Comunità educante: «I nostri ragazzi, che pure sono molto curati, restano la fascia debole della popolazione, perché vivono tra proposte talvolta estranee e contraddittorie – chiarisce subito Scola -. Lo spunto della Comunità educante non è una struttura in più, ma creare una continuità tra i vari soggetti interessati ai piccoli che ci sono affidati con una cura che può trovare un punto di sintesi in oratori che funzionano bene. Bisogna che gli educatori, per il bene del ragazzo, si scambino giudizi e osservazioni, non per fare riunioni, ma per trovare uno stile che faccia vivere in maniera unitaria i ragazzi, avanzando loro una proposta integrale che risponde alla domanda fondamentale “Dove è Cristo per te”». Poi un approfondimento sui giovani educatori: «Occorre essere aperti a tutti, ma essi devono sperimentare, a loro volta, un’esperienza bella di comunità, unitaria, in modo da divenire attrattivi per i più giovani. Solo così i ragazzi e i bambini desidereranno partecipare con gioia all’oratorio e alle occasioni di incontro».
L’immigrazione e l’impegno socio-politico
La seconda immagine riguarda “Il campo e il mondo” e, naturalmente, non può che trattare di immigrazione e di formazione all’impegno socio-politico. «Queste due tematiche sono di importanza capitale per l’evangelizzazione, come si può vedere dalla rilevanza delle Caritas e di altre articolazioni che si occupano di questo settore – scandisce l’Arcivescovo -. Tale testimonianza è così imponente che è rilevata anche da personalità non cristiane». Il pensiero è ai sindaci di Venezia e Milano, Cacciari e Pisapia, che hanno riconosciuto «che senza la Caritas le rispettive istituzioni non avrebbe potuto sostenere il peso dell’assistenza per tutti».
Esiste un “però”: «Il compito della Caritas – come voleva Paolo VI, stilandone il documento fondativo -, deve essere essenzialmente educativo. L’educazione al gratuito non consiste nel risolvere anzitutto i problemi, o nel delegare altri, ma nel compiere gesti ripetuti di semplice carità, come donare un’ora libera del proprio tempo a gente che è sola. Se non c’è tale terreno succede che, soprattutto di fronte a fenomeni ormai strutturali e particolarmente pesanti e gravosi come l’immigrazione, si diventa succubi della paura. Bisogna tornare a proporre con energia questa educazione di base, perché la paura si vince con la pazienza educativa. Si ritorna così alla domanda: “Dove è Gesù come nostro contemporaneo? Altrimenti come fa a salvarci?”».
Sulla politica: «Il filosofo Augusto Del Noce diceva che la politica è decaduta quando ha abbandonato la dimensione culturale e la logica del “farsi prendere a servizio”, come abbiamo visto nella Democrazia Cristiana degli anni Settanta», osserva il Cardinale, che indica la necessità di «riprendere un senso civico – il cristiano è il più civico dei cittadini perché la sua azione non ha una prospettiva solo terrena – e di immergersi in questo non solo a livello di catechesi formativa o di scuole socio-politiche, pur importanti, ma di attivarsi nella logica di un’esperienza di fede in atto. Bisogna esplicitare la ragione, il “per Chi” facciamo le cose e riprendiamo ogni mattina. L’azione vivente, tutto quanto costruiamo quotidianamente, o ha il motore in Cristo o diventa narcisismo e autoaffermazione. Soltanto se l’azione è per un Altro, troviamo un equilibrio».
Famiglia soggetto di evangelizzazione
Terza immagine, la famiglia “soggetto di evangelizzazione”, portata anche da fedeli laici che accompagnano al matrimonio e da altri che sostengono coniugi in difficoltà. Dall’Arcivescovo arriva una premessa: «Non è la famiglia a essere in crisi, tanto che tutti vogliono averla, ma la coppia nel rapporto uomo-donna. Partendo dalla tendenza dei giovani ad accentuare la convivenza, essi si illudono che ciò possa essere una verifica per camminare in modo sicuro più avanti. Ma è un illusione: la convivenza non consente una verifica, in quanto non consente di vivere il mistero nuziale che è l’unità tra tre dimensioni: la differenza sessuale che, facendosi unione tra uomo e donna nell’amore, diviene generatività e procreazione nell’atto coniugale. Se parliamo dell’amore vero il “per sempre” è connaturato a esso. Occorre insistere su questo, mostrando ai nostri giovani la bellezza del sacramento matrimoniale, nel mistero nuziale, con semplicità, senza avere la mistica dei lontani o inventando strategie». Insomma, «reimpostare la preparazione al matrimonio, che non deve essere una serie di lezioni, ma uno scambio di comunione capace di incrementare la crescita reciproca nella costruzione di rapporti rispettosi di tutti. In questo è estremamente necessario l’accompagnamento delle famiglie ferite. Le famiglie tutte devono diventare il soggetto fondamentale dell’annuncio di Cristo. Tale è anche la strada per valorizzare i laici».
Pluriformità nell’unità e Comunità pastorali
Quarta e quinta immagine, “Pluriformità nell’unità” e “Le diaconie: futuro per il Decanato?”: «Il mondo è molto cambiato: pensare che la Comunità pastorale sia nata unicamente a causa della diminuzione del clero è un errore. È sorta per la missionarietà. Ci muoviamo per tutto, non dobbiamo muoverci per chi ci muove, Cristo?».
Ciò che crea unità e accomuna è sempre la stessa domanda: «Dove è Gesù per me». «L’unità non è un convergere, ma precede, è all’origine, è avere in comune Cristo stesso. Prima di tutto l’unità e, poi, con pazienza, aiutarci a una comunione più intensa, specie per quanto riguarda le etnie straniere – molto presenti in Decanato, ndr – con le loro difficoltà di integrazione». Infine, la consegna: «Fa parte della nostra sensibilità contemporanea la fretta, ma la Comunità pastorale avrà bisogno ancora di 15 o 20 anni per essere compresa fino in fondo e realizzarsi. Quindi, non scandalizziamoci della fatica, ma abituiamoci con pazienza a cambiare. Non si può fare la Cp come esito dell’organizzazione, ma con la conversione di noi stessi».