Sabato 30 novembre e domenica 1 dicembre il Consiglio pastorale diocesano si è ritrovato presso Villa Sacro Cuore di Triuggio a riflettere sulla ricezione della Lettera pastorale Il campo è il mondo, mettendo in luce come è stata diffusa e quali riflessioni sta suscitando nelle comunità e realtà ecclesiali, soprattutto nella valorizzazione dell’esistente.
Si è trattato di una prima verifica, preparata nelle riunioni dei consiglieri nelle Zone pastorali e da ciascuna associazione, gruppo e movimento ecclesiale, e poi presentata all’Arcivescovo nella sessione. È emersa una buona diffusione del documento, anche se non sempre andata oltre l’ambito intraecclesiale, con tante iniziative per presentarla e porla come riferimento negli itinerari formativi e nelle attività pastorali, suscitando prime reazioni e riflessioni sulla qualità della propria azione pastorale e della testimonianza cristiana, personale e comunitaria, nei diversi ambiti di vita. Molto si è insistito sul fatto che la Lettera non è un programma di azioni da eseguire, ma offre criteri per l’opera di evangelizzazione, anzitutto al singolo fedele e poi alle comunità. Sono emersi anche buoni esempi di collaborazione tra parrocchie e Decanati con l’Azione Cattolica e i movimenti ecclesiali nel diffondere la conoscenza della lettera e, soprattutto, nel valorizzare le iniziative in essere nell’ottica dell’evangelizzazione dell’umano. È comunque emerso nei lavori della sessione la necessità di mettere più a tema e di vivere concretamente la dimensione della pluriformità nell’unità.
Il Consiglio è stato chiamato anche a riflettere su linguaggi, stili e contenuti della testimonianza cristiana negli ambiti di vita, in particolare quelli già individuati nel Convegno ecclesiale di Verona e ripresi dall’Arcivescovo nella Lettera – affetti, lavoro, riposo – e quelli a essi trasversali: fragilità, tradizione-educazione e cittadinanza.
La riflessione si è svolta in gruppi di lavoro, producendo dense sintesi, ricche di osservazioni e proposte, compendiate poi in un documento finale offerto all’Arcivescovo, per una sua ripresa nel Consiglio episcopale milanese. Riflettere sulla presenza di testimonianza cristiana nei mondi dell’umano ha condotto a sottolineare come il messaggio del Signore sia sì esigente, ma necessario, perché porta a compimento l’umano. Occorre mostrare le possibilità di vita buona derivanti dal Vangelo, testimoniando il fascino di una fede vissuta, che sa comunicarsi nell’incontro con gli altri nella gioia, suscitando un coinvolgimento e un desiderio di condivisione della vita, delle sue gioie e delle sue difficoltà. Non si tratta di “accompagnare” gli altri, ma di farsi tutti insieme compagni di viaggio, porsi in ascolto e in compagnia, affrontando insieme le domande di senso della vita, consapevoli che la fede è ultimamente dono ricevuto e non imposto.
La dimensione della comunità appare quella che permette di sviluppare ancora di più la capacità di vicinanza concreta alle situazioni di fragilità, anche in forme spontanee e semplici, a partire da una grande capacità di ascolto della vita delle persone, giungendo a vivere la condivisione: stare con, farsi prossimo e aprirsi verso l’altro. Una condivisione che diventa accoglienza e cammino insieme. Stile, questo, emerso nella riflessione di tutti gli ambiti, compreso quello della cittadinanza, dove si è cercato di individuare con quali stili e con quali linguaggi sia possibile vivere la “cittadinanza paradossale” dei cristiani, che condivide tutto dell’esperienza umana, mosso dalla legge dell’amore, rimanda sempre a un oltre di senso. Occorre recuperare la carica profetica del messaggio cristiano, abbandonando posizioni solo egemoniche, mettendosi in relazione tra soggetti che provengono da esperienze e culture differenti, puntando su una crescita e maturazione della persona e delle sue motivazioni profonde nell’individuazione dei connotati essenziali delle vita buona del Vangelo.
L’Arcivescovo ha concluso la sessione rimarcando come la Lettera sia in funzione della proposta pastorale “Il campo è il mondo”, che spinge anzitutto ciascuno di noi a testimoniare il Vangelo sulle vie dell’umano, dove centrale è la dinamica dell’incontro, dei rapporti interpersonali. In questa prospettiva, la proposta interpella “l’azione ecclesiale”, che è altra cosa dal “fare iniziative”: è infatti esperienza di grazia che ci spinge a comunicare la bellezza della vita di fede. Non è un programma, ma mette in campo il soggetto, chiamato a crescere in una relazione personale con il Signore Gesù sapendo che questa cambia il rapporto con Dio, con gli altri e con se stessi.
In una società plurale, c’è bisogno di raccontarsi, un comunicarsi in vista di un riconoscimento reciproco che si basa soprattutto sulla testimonianza. Il problema dei linguaggi non è questione di ricerca di strategie comunicative: il linguaggio è la testimonianza stessa ed è questa che parla con una forza estrema e arriva al cuore di tutti al di là delle parole che si usano.