Sono don Alberto Dell’Acqua, prete della diocesi di Milano dall’8 giugno 1991. Dal febbraio 2006 sono stato inviato come prete fidei donum alla diocesi di Garoua, nel nord del Camerun. Fino all’agosto 2010 ho esercitato il mio ministero come vicario nella parrocchia St. Charles Lwanga di Djamboutou, occupandomi della catechesi dell’iniziazione cristiana, della pastorale dei giovani, di una trentina di comunità cristiane nei villaggi della savana e potendo condividere questo con altri due confratelli preti e con alcuni laici fidei donum.
Quando poi la parrocchia di Djamboutou è passata ai preti locali, il vescovo mi ha chiesto la disponibilità di aprirne una nuova: quella di St. Jean-Marie Vianney di Ngalbidje. Qui ero solo fino a pochi mesi fa, ora ho la compagnia di un prete 81enne, don Adriano Cucco, mio compaesano.
Essere prete fidei donum per me vuol dire fare un po’ da “ponte” tra la diocesi di Milano e quella in cui sono stato inviato. Come cerco di farlo?“Facendo semplicemente il prete” nella diocesi di Garoua: cerco di testimoniare senza troppe parole cosa voglia dire per me essere prete diocesano. La diocesi di Garoua ha poco più di 60 anni: ha un clero giovane che non ha le stesse possibilità di formazione che ho avuto io; ha comunità cristiane giovani, che hanno bisogno di sentire che il prete non è quello che comanda, ma uno che vuole loro bene e sta loro vicino (anche se qualche volta si arrabbia, soprattutto quando il clima lo affatica fisicamente); cerco di condividere ciò che ho imparato nella mia formazione ed esperienza milanese senza imporlo, ma valutandolo e proponendolo a partire da ciò che in questi anni ho intuito della realtà in cui mi trovo.
E poi cerco di “tenere i contatti” con la diocesi di Milano. Innanzitutto attraverso quelli che chiamo i miei “Appunti di Viaggio”, un’email comunitaria circa ogni due mesi (pubblicata anche su Facebook) che racconta ciò che vivo qui a chi vuole saperlo (quando ritardo di qualche giorno c’è sempre qualcuno che si lamenta e che mi incoraggia a superare la mia fatica di scrivere!); cerco di far in modo che le mie vacanze in Italia (un mese all’anno) diventino anche un modo per incontrare tante persone (in modo informale o organizzato, persone singole o gruppi) e condividere con loro l’esperienza vissuta; sono sempre contento di accogliere e di accompagnare persone che vogliano passare un po’ di tempo qui con me. E a chi mi chiede «cosa c’è da fare?», rispondo: «C’è da conoscere e condividere l’esperienza: poi scoprirai tu cosa fare!».
Nel 2015 scade il mio mandato di 9 anni qui e quindi rientrerò in diocesi: anche questo vorrei farlo diventare un modo importante per condividere ciò che ho vissuto qui.