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La guerra in Europa

Sirio 15 - 21 luglio 2024
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Guerra

L’Ucraina piange i suoi giovani, ma resiste

A Leopoli un immenso corteo di scout ha reso omaggio a due soldati volontari morti sul fronte, di 27 e 22 anni. Negli ultimi due giorni gli attacchi russi si sono intensificati nella regione a sud di Odessa e al confine con il Donbass

di Maria Chiara Biagioni Agensir

22 Giugno 2022
Il corteo a Leopoli (foto Sir)

Sono giovani, nel pieno degli anni. C’è chi stava studiando all’università. Chi si era avviato a una professione. Hanno scelto di abbandonare tutto per servire e difendere la propria terra. L’Ucraina piange i suoi giovani migliori. Ieri, a Leopoli, un immenso corteo di scout ha sfilato per la città, per rendere omaggio a due soldati volontari morti sul fronte. I loro nomi sono Artemy Dimid e Nazar Gladky e sono solo due delle centinaia di soldati che ogni giorno perdono la vita nei combattimenti.

Dagli Usa al fronte

Artem aveva 27 anni. Era negli Stati Uniti quando in Ucraina è scoppiata la guerra. È morto il 18 giugno scorso, difendendo la sua terra dagli “occupanti russi”. Lo hanno ritrovato ricoperto di colpi di mortaio vicino a Donetsk. Era figlio di padre Mykhailo Dymyd, primo rettore e docente dell’Accademia teologica di Lviv, cappellano del Maidan durante la “Rivoluzione della dignità”, e di Ivanka Krypyakevych-Dymyd, una delle più rinomate pittrici di icone del Paese. Su iniziativa della famiglia, l’Università cattolica ucraina ha istituito un fondo di borse di studio intitolato a suo nome. Di lui, ha parlato anche il capo della chiesa greco-cattolica ucraina, S.B. Shvechuk: «Questa morte, morte eroica, ha sconvolto tutte le cerchie intellettuali e scientifiche dell’Ucraina. Oggi diciamo: gli eroi non muoiono. Chiediamo: Dio, accoglilo nelle tue braccia e donagli memoria eterna». L’altro ragazzo invece si chiamava Nazar Gladkyi. Anche lui si era offerto come soldato volontario. È morto all’età di 22 anni, mentre svolgeva una missione di combattimento nella direzione di Kharkiv.

La migliore gioventù

«I nostri ragazzi sono stanchi, ma hanno un altissimo livello di motivazione morale perché sanno che cosa fanno e per cosa stanno combattendo – racconta padre Andriy Zelinskyy, cappellano militare della Chiesa greco-cattolica ucraina, appena tornato da Odessa dove ha svolto una serie di incontri con gli ufficiali impegnati su uno dei fronti più caldi della difesa ucraina contro l’invasione russa -. L’Ucraina sta perdendo la migliore gioventù perché ad andare per primi sul fronte sono i ragazzi con grandissimo senso di responsabilità. Sono tutti giovani che hanno scelto di arruolarsi per difendere le proprie famiglie e il Paese».

Il lavoro che i cappellani militari stanno facendo con loro è di ascolto e sostegno. I soldati raccontano quello che vivono al fronte e confidano il peso degli amici che perdono. «È un lavoro spirituale, il nostro, che va a toccare le dimensioni più profonde dell’essere umano per sostenere e proteggere l’umanità, ma al tempo stesso senza disprezzare il loro mestiere che è quello di difendere la propria famiglia e la propria terra. Un lavoro che esige coraggio e umanità. Perché non c’è umanità senza coraggio e coraggio senza umanità».

Lacrime, ma resistenza

Negli ultimi due giorni, gli attacchi da parte dei russi si stanno intensificando soprattutto nella regione a Sud di Odessa e ad Est al confine con il Donbass. Nella regione di Odessa, le forze di difesa aerea ucraine hanno abbattuto missili russi ma ieri è stato colpito e distrutto un magazzino alimentare nella città portuale meridionale di Odessa. «È il segno sempre più evidente che i russi colpiscono tutto quello che vogliono», racconta don Roman Krat, parroco della cattedrale cattolica latina di Odessa nonché delegato del vescovo per i rapporti con la stampa. Il presidente Volodymy Zelensky è appena tornato da una visita fatta alle città portuali di Miykolaiv e Odessa. «È stato un gesto coraggioso, che la cittadinanza ha molto apprezzato – fa sapere il parroco -. Alcuni miei amici sono andati a vedere il corteo del presidente sulle strade. È stato anche apprezzato il fatto che sia andato a Miykolaiv, anche se pericoloso. Questo dimostra che è un uomo coraggioso e che a differenza di Putin che si nasconde, ha scelto di rimanere a fianco della sua gente. È questa vicinanza che la gente gli riconosce. La guerra sta stancando le persone. C’è anche il rischio che ci si abitui a questa situazione. Ci si sta abituando anche alle bombe, al pericolo». Ma l’abitudine non toglie la certezza della vittoria. «Noi siamo sicuri che Mylolaiv resisterà», dice convinto don Krat. Da Kherson, invece, arriva la notizia che hanno messo le tv russe. «Dove arrivano i russi arriva la propaganda. Hanno soppresso anche la rete telefonica ucraina. Per questo, noi resisteremo, per la libertà».

Ma l’Ucraina ha bisogno di aiuto. «Le armi europee non sono ancora arrivate – conferma il sacerdote – e i russi stanno approfittando di questo momento per distruggere tutto prima che i rinforzi arrivino sul fronte».

Bombardamenti continui

Situazione critica anche a Kharkiv. «Sono due giorni che sentiamo bombardamenti continui – conferma don Gregoryi Semenkov, cancelliere della diocesi cattolica latina di Kharkiv e parroco della cattedrale -. Per fortuna non hanno ancora bombardato la città nel centro però hanno attaccato nei boschi nelle periferie».

Ma a Kharkiv c’è un’altra emergenza: «Gli aiuti che abbiamo ricevuto stanno per finire – dice preoccupato il sacerdote -. Adesso siamo andati a vedere e già ci sono cinque mila persone in fila in attesa che cominci alle 11 la distribuzione dei pacchi che stiamo preparando. Stiamo vivendo quello che i primi discepoli vivevano nel Vangelo con il miracolo dei pani e dei pesci. Speriamo di poter anche noi continuare ad aiutare questa gente e che Gesù faccia ancora oggi il miracolo».

Il sacerdote racconta che per motivi di sicurezza, la distribuzione degli aiuti umanitari non viene fatta davanti alla cattedrale, ma in un altro punto e poi spiega il motivo per cui gli aiuti fanno fatica ad arrivare. «Siamo lontani dalla Polonia – dice don Gregorio -. Sono molti chilometri e il diesel è aumentato moltissimo. Tenete conto che per portare qui un tir, si possono spendere anche 3 mila euro».

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