«I santi come amici e modelli della nostra vita».
Le parole del Prefazio che il cardinale Scola, proprio per la loro bellezza e significato, richiama, aprendo la sua omelia, sono il simbolo di quel cammino di speranza verso una vita pienamente riuscita che riguarda ognuno di noi.
È la Solennità di Tutti i Santi e l’Arcivescovo presiede, come tradizione, il Pontificale in Duomo, concelebrato dai Vescovi ausiliari, Mascheroni e Martinelli, dall’Arciprete del Duomo di Monza e Decano, monsignor Silvano Provasi e dai Canonici della Cattedrale. Tra tanta gente – alla fine della Messa viene benedetta la statua del beato, di origine monzese, monsignor Luigi Talamoni –siedono in prima fila i sindaci di Lecco, Virginio Brivio, il presidente della Provincia Monza Brianza, Gigi Ponti (Talamoni è il protettore della Provincia e questa stessa dal 2011 promuove un Premio di benemerenze civiche intitolato al Beato), altri primi cittadini e autorità. Sono presenti anche oltre duecento fedeli arrivati da Monza e molte Suore Misericordine di San Gerardo, fondate dal Beato nel 1891, con la Superiora Generale, madre Albina Corti.
La riflessione del Cardinale definisce il senso della festa liturgica che si sta vivendo e che, intimamente collegata alla ricorrenza dei Defunti, indica con chiarezza «i tratti fondamentali dell’esistenza cristiana come esistenza di compimento cioè di santità».
Esistenza che si qualifica nel suo essere, in primis, «un pellegrinaggio e un cammino di speranza nell’attesa certa del bene, verso la patria comune, la dimora cui apparteniamo dal concepimento fino al termine della vita terrena». Un’esistenza da vivere nella comunione dei Santi, secondo la forma «di un’amicizia che ci lega anche a coloro che sono già nell’abbraccio definitivo del Padre».
La morte, infatti, non «scava un abisso radicale tra chi è partito e noi che siamo rimasti» – osserva il Cardinale –, ma anzi, «la fede nel Risorto conferma l’anelito a durare per sempre che vive nel nostro cuore, proprio perché la morte gloriosa di Cristo ha vinto il nostro comune morire». Ma come perseguire questo destino di pienezza, «che prima di essere una mèta è un dono»?
Se nelle antiche Comunità cristiane i Santi erano tutti i battezzati, in quanto ciascuno destinato alla santità, anche noi dobbiamo avere la consapevolezza di questa vocazione, secondo il volto di Cristo.
«Tendere alla sanità significa cercare il Signore in ogni nostra attività quotidiana, dice ancora Scola, e dentro questa realtà siamo chiamati a guardare al volto di Gesù», così come è descritto dal Vangelo delle Beatitudini, appena proclamato nella Liturgia della Parola. Nell’invito a imitare il Signore, anzi, «a immedesimarci con Lui», nascono dunque le domande profonde – ritmate dall’Arcivescovo appunto secondo le singole beatitudini – che sono peculiari di una fede autenticamente testimoniata.
«Quale condivisione viviamo con i poveri materialmente intesi, condizione necessaria per imparare la povertà dello spirito? Quale larghezza di cuore abbiamo verso gli altri? Come custodiamo la verità dei nostri rapporti affettivi nella temperanza, nella castità appropriata, nell’amore effettivo? Andiamo oltre qualche slancio emotivo o condanna verbale quando i media mostrano le tremende violazioni della pace nel mondo?
Siamo disponibili a offrire le piccole e grandi prove che il Signore ci manda, per i puri di cuore, per i giusti perseguitati, martirizzati, messi sul lastrico?
I tempi che stiamo vivendo urgono il coinvolgimento quotidiano che la santità sola può garantire. Quale civiltà vogliamo? Che Milano stiamo costruendo? Non solo la Chiesa ma la società tutta domanda donne e uomini santi: cristiani autentici e buoni cittadini. Persone capaci di comunione, di dialogo, di accoglienza, che sanno vincere le paure con un’equilibrata pratica solidale, intensificando l’amicizia civica».
Insomma, un “essere per Dio”, in ogni momento della vita, che il Cardinale delinea con le splendide parole del “Pensiero alla morte” di Paolo VI. Beato – «siamo ancora presi dallo splendido avvenimento della sua beatificazione» –, così come lo fu, dieci anni fa, Luigi Talamoni «figura straordinaria, santo eccezionale dalla fede incrollabile un Dio pieno di misericordia, “martire del confessionale”, dove si recava ogni giorno dalle cinque alle otto del mattino, uomo capace di una carità fattiva e integrale che arrivò fino all’impegno politico attivo». È giusto, che dalla Chiesa ambrosiana, e specie monzese, si intensifichi la devozione per il Beato in vista della sua Canonizzazione», nota il Cardinale.
Infine, dopo la benedizione della statua di monsignor Talamoni, opera dello scultore Gianfranco Defendi e che verrà posta definitivamente sulla mensola 88 all’interno del Duomo, ancora un pensiero dell’Arcivescovo che è sigillo e insieme indicazione per il futuro: «Questa fulgida speranza di santità diventi anche la preghiera per i nostri defunti. Noi per loro e loro per noi invochiamo la santità come piena riuscita di ogni uomo».