Un mare di volti, un fiume di mani ondeggia nella piazza su cui si affaccia il Duomo. Il cardinale Scola avanza fra le ali di questa folla immensa e festante (inizialmente ventimila persone, poi cresciute fino a venticinquemila), salutando, benedicendo, ringraziando.
Una bambina di quattro, cinque anni, sollevata in alto dal padre, allunga le braccia verso quell’uomo ammantato di rosso, e per un attimo le loro dita, quelle della piccola e quelle dell’Arcivescovo, arrivano a sfiorarsi. È come un brivido che percorre tutti, e si propaga fra il popolo intero presente. Un’emozione spontanea di gioia, di gratitudine, di fiducia. «Benedetto Colui che viene nel nome del Signore!», urla con quanto fiato ha in gola una giovane madre, le mani a coppa sulla bocca, lo sguardo che sorride, mentre un applauso beneaugurante scatta irrefrenabile.
Come i suoi predecessori da secoli, il cardinale Angelo Scola è arrivato dinnanzi alla cattedrale partendo dalla culla della fede milanese, da quella basilica di Sant’Eustorgio, cioè, dove furono battezzati i primi cristiani, che testimoniarono il loro amore per Cristo fino al martirio.
Qui, sulla piazza sotto cui ancora riposano i resti delle primigenie chiese di Milano, il nuovo arcivescovo è stato accolto dal Vicario generale della diocesi, monsignor Carlo Redaelli, e dal Moderator Curiae, monsignor Gianni Zappa. Quindi il saluto delle autorità civili: il presidente della Regione Lombardia, Roberto Formigoni («Lo conosco da quand’ero adolescente… Per me il cardinal Scola è stato un vero maestro nella fede», aveva confidato pochi istanti prima); il sindaco di Milano, Giuliano Pisapia; il prefetto di Milano, Gian Valerio Lombardi; il presidente della Provincia di Milano, Guido Podestà. Un saluto cordiale, rapido ma non di circostanza, come ha testimoniato quella mano dell’arcivescovo appoggiata amichevolmente sulla spalla di ognuno.
Poi è stata la volta degli onori militari, con il comandante interforze di Milano, il generale Tommaso Ferro, che ha presentato al Cardinale il picchetto d’onore formato dai plotoni dell’Esercito, dei Carabinieri, dell’Aeronautica e della Guardia di Finanza, con il saluto e la benedizione della bandiera, mentre la fanfara intonava l’inno nazionale.
Ma la piazza del Duomo, lo si diceva all’inizio, è stata innanzitutto della gente, dei fedeli ambrosiani giunti da ogni parte della diocesi per salutare e accogliere il loro nuovo pastore. Grida di giubilo ovunque, battimani, saluti festosi, bandiere al vento con le scritte dell’Azione Cattolica e degli Scout. Il cardinal Scola appare sinceramente commosso, e voltandosi ora a destra ora a sinistra cerca di rispondere a tutti, collettivamente come ad ognuno. Giornalisti compresi, numerosi e agitati, ai quali augura un confortante: «Buon lavoro!».
Colpisce, in particolare, la presenza di tante famiglie, alcune, la più parte, con figli in tenera età, nei passeggini o più spesso issati sulle spalle, coinvolti anch’essi in questo clima di festa grande. E poi anche molti ambrosiani “acquisiti”, latinoamericani, africani, cittadini dell’Est Europa, anch’essi in piazza Duomo, anch’essi ad accogliere il nuovo vescovo.
Già, il nuovo. L’incontro sul sagrato fra il cardinal Scola e il cardinal Tettamanzi è talmente toccante, talmente sincero, che per un istante, ma per un istante soltanto, la piazza pare quasi ammutolirsi, rapita anch’essa, tutta intera, in quell’abbraccio fra i due arcivescovi, che centinaia, migliaia di telecamere e di macchine fotografiche immortala, e che i nostri sguardi non potranno certo dimenticare.
Il popolo ambrosiano conosce bene il sorriso del cardinale Dionigi Tettamanzi, avendolo sperimentato in innumerevoli occasioni negli anni del suo episcopato. Ma ora già sa di poter incontrare, col medesimo calore paterno, anche quello del cardinale Angelo Scola.
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