Recuperare una visione comunitaria del lavoro, per evitare di considerare alcuni mestieri “di serie A” e altri “di serie B”. È il cuore del messaggio, dal titolo “Giovani protagonisti nell’agricoltura”, che la Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace ha diffuso per la 63ª Giornata nazionale del ringraziamento, che si celebrerà domenica 10 novembre a Pordenone. In vista dell’evento, l’agenzia Sir ha interpellato in merito monsignor Fabiano Longoni, neo-direttore dell’Ufficio Cei per i problemi sociali e il lavoro.
Perché il messaggio è rivolto ai giovani?
«C’è una difficoltà, nel nostro Paese, legata a questa fascia generazionale, frutto di politiche non lungimiranti, né attente nei confronti delle future generazioni perseguite – a tutti i livelli – negli anni passati. Ci si rivolge ai giovani non perché ci sia una scommessa da vincere, ma perché c’è una constatazione da fare: il futuro è legato a una capacità innovativa che i giovani possiedono».
Non solo ci si rivolge ai giovani, ma questi sono definiti “protagonisti”…
«È proprio qui il centro del messaggio. I giovani sono il soggetto, non l’oggetto di politiche. Sono loro che vivono la sfida educativa, in grado di dare fiducia e speranza a loro stessi e alle generazioni che seguiranno. C’è un protagonismo attivo, innovativo, capace di utilizzare le nuove tecnologie, con una sensibilità ecologica, e allo stesso tempo che coglie la crisi come opportunità per riscoprire l’agricoltura».
Secondo una recente indagine Coldiretti sono in aumento i giovani che scelgono d’impegnarsi nell’agricoltura. È una risposta della crisi o, a suo avviso, vi è anche un rinnovato interesse verso questo ambito?
«Penso ci sia un convergere di entrambi gli elementi. Evidentemente oggi le difficoltà nel trovare lavoro in altri ambiti portano a riconsiderare scelte che si tendevano a scartare negli ultimi decenni. Il messaggio per la Giornata del ringraziamento, al riguardo, accenna alle difficoltà e alla stima inadeguata nei confronti di chi sceglie di fare l’imprenditore agricolo, chiedendo di “alimentare l’apprezzamento, da parte di tutta la società, per il lavoro della terra”».
Perché il lavoro nei campi continua a non essere adeguatamente apprezzato a livello sociale?
«Siamo in balia di una visione elitaria, basata su una concezione sbagliata del lavoro. Nell’ottica cristiana il lavoro serve per creare qualcosa e per la gratificazione personale, non per ottenere il massimo guadagno. Ma la nostra società non riesce a pensare che ogni lavoro ha per se stesso un significato sociale».
Come cambiare ottica, nel senso indicato dal messaggio?
«Questa è la sfida educativa – come la definiscono gli “Orientamenti pastorali” della Chiesa italiana – che sottende a tutto il messaggio. Ci vuole capacità di entrare nella dimensione del lavoro riconoscendolo come equilibrio di diversi fattori. A tal riguardo, c’è da segnalare l’impegno delle diverse associazioni che operano in ambito cattolico a fianco dei lavoratori della terra, rendendoli coscienti di un nuovo modo di concepire il lavoro stesso, con valori da promuovere e con i quali educare le nuove generazioni».
Il testo ricorda pure i “giovani immigrati” che lavorano nei campi, ritenuti “ormai indispensabili”…
«Da una parte ne abbiamo necessità sul piano operativo e funzionale; dall’altra vanno considerati nella loro dimensione globale. È ora di abbattere tutti i pregiudizi ed entrare in una visione positiva del contributo che queste persone danno al nostro Paese».
Da ultimo, ritorna più volte la “condivisione”, gesto di solidarietà per “spartire fraternamente” ciò che si ha – come fece san Martino – ma anche necessità perché «nessuno da solo può pensare di restare sulla terra come imprenditore agricolo».
«La fraternità richiama un concetto caro alla “Caritas in Veritate”, ovvero la capacità del dono di essere fondamentale per il riconoscimento dell’altro. “Solo da questo stile di condivisione – riporta il testo – nascerà la fiducia nelle cooperative e nei consorzi, nei quali è possibile realmente diffondere il prodotto tipico di una terra”».