L’entusiasmo di educare in oratorio è, per molti versi, un’avventura affascinante.Essa affonda le sue origini in quel periodo cruciale, che fu il Rinascimento, scosso e purificato dal travaglio della Riforma della Chiesa, che fu guidata da un identico spirito, anche se fu realizzata in modalità talvolta, purtroppo, contrapposte.
di don Ennio Apeciti
Dobbiamo subito precisare che non esiste un «modello» di oratorio. Sotto questa denominazione dobbiamo piuttosto indicare quelle «realtà aventi la finalità dell’istruzione e della formazione religiosa della gioventù». Esse sono parte stessa della tradizione ambrosiana, della vita di questa Chiesa. Basterebbe pensare – faccio cenno solo per far intuire la complessità e la bellezza del discorso – all’impegno già dispiegato da sant’Ambrogio nella formazione dei giovani e che fu sintetizzato nel suo libro, il De officiis (“Sui doveri”), nel quale, imitando Cicerone, descrive il modello di uomo completo, maturo, riuscito, quello che era l’ideale della classicità romana, e che Ambrogio riprende, arricchendolo dei valori cristiani. Non altrimenti, infatti, può essere il cristiano che un uomo umanamente riuscito. Vale la pena annotare che il De officiis di Ambrogio rimase uno dei testi di riferimento per la formazione dei giovani lungo tutto il Medioevo.
Dicevamo di un impegno formativo costante nella storia della Chiesa, e in particolare di quella milanese. Per avviarci rapidamente al momento che dobbiamo trattare, mi basta ricordare che quest’impegno fu caratteristico anche nei secoli del Medioevo, tanto che al concilio di Vaison (529) fu stabilito che ogni “parrocchia” d’Europa (anche se sia l’uno che l’altro nome sono un poco impropri in quel tempo), abbia una scuola ove formare i ragazzi, «secondo una ben salutare consuetudine che sappiamo diffusa per tutta l’Italia». È un bel complimento per l’Italia ma anche un segno di quanto fosse curata la formazione anche in un’epoca, spesso tacciata di oscurantismo.