«La fede in Cristo è integrale: è per tutto l’uomo e per tutti gli uomini»: un’altra affermazione molto chiara che si incontra al numero sei della lettera pastorale del nostro Arcivescovo. Nella sua brevità questa frase risulta molto incisiva: la fede è per tutto l’uomo, cioè ha una dimensione di totalità, ed è per tutti gli uomini, cioè ha una dimensione di universalità.
Fermiamoci anzitutto sul primo punto: che la fede abbracci la totalità dell’umano significa che nessun aspetto ne è escluso. Non esistono ambienti per i quali si dovrebbe dire: qui la fede non c’entra. Possiamo immaginare che in un ospedale non ci debba essere spazio per la fede? O in un ufficio? O in una università? O in una azienda? Dobbiamo forse ritenere che là dove si esercita la propria professione o si svolge la propria attività sociale la fede non abbia diritto di cittadinanza? Può un credente pensare che, oltrepassata la soglia di certi luoghi, egli debba prescindere dalle sue convinzioni più profonde e velare – per così dire – il volto del Signore Gesù davanti al quale si inginocchia ogniqualvolta entra in una chiesa? E ci può essere qualche argomento, qualche settore o ambito del vivere umano dal quale la fede debba considerarsi legittimamente estromessa? Forse la scienza? O forse l’arte? O la tecnica? O la politica? Poiché la fede è uno sguardo sulla realtà, un modo di intendere il tutto nella luce amorevole di Dio, nulla può essere escluso; anzi, tutto deve essere incluso. Quanto si vive nelle nostre chiese è estremamente importante, ma le chiese non sono l’unico spazio della fede. Quest’ultimo si identifica con lo spazio della vita: dunque abbraccia tutti gli ambienti nei quali ci si trova a vivere. Potremo certo domandarci come la fede si esprime in ognuno di questi luoghi e allora risponderemo che il Vangelo stesso ce lo insegna: attraverso uno stile di onestà, di serietà, di generosità, di rispetto, di umiltà, di servizio, che faccia intravedere la potenza di bene del Cristo Risorto.
Ecco dunque il senso della fede “integrale” in relazione alla totalità dell’umano. Vi è poi il secondo aspetto, quello della universalità. La fede, si è detto, è “per tutti gli uomini”: nessun popolo, nessuna etnia, nessuna cultura dovrà considerarsi estranea al credere cristiano. È un monito chiaro contro ogni discriminazione e un invito forte e chiaro alla reciproca accoglienza. Il popolo di Dio è costituito da nazioni e lingue differenti. Lo Spirito della Pentecoste (cfr At 2) permette di far risuonare in tutte le lingue conosciute l’unica parola di salvezza e questa è capace di generale la comunione ecclesiale. Il mondo si stupisce davanti a questo miracolo, che Tonino Bello chiamava la «convivialità delle differenze». Quando il Papa rivolge gli auguri pasquali nelle numerose lingue dell’umanità (e neanche tutte!) ci rendiamo conto di che cosa significhi che la fede in Cristo è fede “integrale”, cioè per tutti gli uomini. Essa ha piacere di dirsi nelle diverse lingue degli uomini perché ama ogni popolo ed ogni cultura; non teme le differenze perché è capace di ricondurle alla verità dell’amore.
da Avvenire,16/02/2013