«L’ecumenismo può giocare un ruolo nella costruzione della pace, perché siamo provocati dalla diversità di atteggiamento delle Chiese a chiederci in che modo dobbiamo costruire luoghi di pacificazione, che fanno sciogliere le tensioni, che sanno affrontare i vissuti e curare le ferite». Monsignor Luca Bressan, Vicario episcopale per la Cultura, la carità, la missione e l’azione sociale, riflette sulla imminente Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani e sul loro contributo per costruire una società di pace.
Su quali aspetti punterà la Settimana?
Innanzitutto c’è il tema mondiale sviluppato quest’anno dai cristiani lettoni. A Milano vogliamo riflettere in particolare su due elementi. Il primo è il fatto che Dio ci chiama a essere un popolo: mettere in luce come il movimento ecumenico, il Consiglio delle Chiese cristiane e la Settimana di preghiera vogliono essere un esempio di questo lavoro che Dio vuole fare a livello di tutta l’umanità. Per cui i cristiani pregano e lavorano per la loro unità per mostrare come Dio vuole raccogliere tutti i popoli in uno, non cancellando le differenze, ma armonizzandole e creando una sinfonia. Il secondo elemento è di annunciare le meraviglie di Dio. Ci richiamiamo alla vicenda di Expo e al discorso ecologico portato avanti dal Papa, di leggere i tempi dell’amore di Dio che ci dà nella creazione. Abbiamo la responsabilità, come uomini e ancor più come cristiani, di curare questi segni, interpretarli in modo giusto e non di diventarne proprietari. Perciò la capacità di annunciare agli altri il destino finale e il senso della creazione.
Tra gli incontri previsti si parlerà di come l’immigrazione cambia la comunità. Come questo fenomeno influisce sul dialogo ecumenico?
In modo particolare a Milano ci diamo questo obiettivo: leggere come le migrazioni che stanno cambiando il volto della città interrogano le Chiese. Non si tratta semplicemente di accogliere quei cristiani che arrivano, ma di lasciarsi provocare dalla loro fede. Per esempio, i protestanti con le Chiese pentecostali ed evangeliche; noi con i cattolici degli altri Paesi; tutto il mondo ortodosso. Insomma l’idea è di leggere questo non semplicemente come un problema umanitario, ma anche come una domanda di conversione per la nostra fede.
Quanto l’ecumenismo di popolo, come l’ha definito il cardinale Scola, è diffuso nella nostra Diocesi?
Per l’ecumenismo di popolo in Diocesi si stanno facendo grandi passi. Innanzitutto lo si vede dal numero di edifici, soprattutto di chiese, che in questi anni stiamo dando alle Chiese ortodosse, ma non solo. La gente e le parrocchie si accorgono di questa presenza, però dare l’edificio non è semplicemente un aprire spazi agli altri, è la volontà di fare attività insieme, per cui a livello parrocchiale si vede sempre di più questa voglia di scambio, di comunione con qualche esperienza pilota. Penso ai copti presenti nelle parrocchie di Cinisello, oppure all’idea alla quale sta lavorando la Caritas con le Chiese pentecostali per elaborare gesti di carità insieme. Davvero l’ecumenismo sta diventando qualcosa che interroga la vita quotidiana delle parrocchie di Milano.
Il cardinale Scola, salutando il Consiglio delle Chiese, ha parlato anche di una sezione speciale ecumenica dei «Dialoghi di vita buona»…
L’idea è che dobbiamo costruirla insieme, però l’intenzione che abbiamo è di non lasciar cadere la profondità culturale nell’anniversario che si celebra nel 2017 (il V centenario della Riforma di Lutero, ndr). In un’epoca di grande trasformazione dell’Europa siamo invitati a leggere quell’appuntamento e far vedere le provocazioni per noi oggi. Siamo invitati a farlo secondo la logica dei Dialoghi, cercando di creare un soggetto condiviso. Quindi non solo i cattolici, ma tutti i cristiani, insieme partendo dalla presenza della Chiesa luterana a Milano.
Domenica prossima si celebra la Giornata del dialogo con gli ebrei. Milano è sempre stata in prima linea nel dialogo con la Comunità ebraica…
Questo dialogo tra le religioni – e in particolare con gli ebrei – continua e trova luoghi di declinazione nuovi. Come nel caso del corso di formazione interreligiosa soprattutto per gli operatori delle carceri. L’idea è quella di aiutare a vedere come la dimensione religiosa che ogni uomo ha, se è ben sviluppata, se trova risposta in ragioni che aiutano ad approfondire la dimensione di umanità, davvero diventa un fatto importante per la pace. Il percorso è stato possibile realizzarlo, perché si basa su questa forte consonanza, questa fraternità fra noi e gli ebrei a Milano.