Lo stile di sinodalità per un cattolicesimo vicino alla gente che dà speranza. È questo il lascito del Convegno ecclesiale nazionale che si è concluso nei giorni scorsi a Firenze. Un momento alto di Chiesa con un discorso fondamentale di papa Francesco, definito dal cardinale Angelo Scola «una pietra miliare per la Chiesa italiana». Tracciamo un primo bilancio dell’assise nazionale con monsignor Luca Bressan, vicario episcopale per la Cultura e l’azione sociale, di ritorno con la delegazione ambrosiana.
Quale volto di Chiesa esce dal Convegno ecclesiale?
Una Chiesa che si è scoperta come un corpo, le membra si sono sentite unite tra di loro, hanno visto che stanno cambiando e in questo leggono l’azione dello Spirito. È una Chiesa che vede le sue trasformazioni, le sue debolezze, le sue fatiche. Ma questa visione è servita per vedere l’azione dello Spirito che la sta guidando. Le “cinque vie”, come la conclusione del cardinale Angelo Bagnasco alla fine, hanno dato serenità. Non vuol dire ingenuità, tutti infatti intuiamo che le sfide sono grandi, ma che possono essere vissute con serenità.
Il cardinale Scola ha definito il discorso del Papa «pietra miliare per la Chiesa italiana». Lei come lo valuta?
Innanzitutto, mi sono sentito onorato, perché si è visto che il Papa ci riconosce e crede in noi. Io lo definirei una “piccola enciclica” per l’Italia. Ci ha letto, ha capito chi siamo, ha visto il cuore del cristianesimo in Italia, quel cattolicesimo popolare che lui vede nella figura di don Camillo e Peppone, e ci ha detto come continuarlo.
Infatti Francesco sollecita la Chiesa italiana a decidere le strade, a essere protagonista del cambiamento. Questo come si può tradurre nella Chiesa ambrosiana?
Nella nostra Chiesa ambrosiana vuol dire vedere come – attraverso anche gesti pastorali nuovi – si può dire quel cattolicesimo che abbiamo imparato da san Carlo a oggi: è il cattolicesimo vicino alla gente, attraverso tante opere di carità, ma soprattutto quel cattolicesimo che ha dato speranza, che ha creato legami tra le persone. Ad esempio che ha permesso a Schuster subito dopo la guerra, ma anche a Montini in piena ricostruzione post bellica, di aiutare addirittura la società civile a trovare unità e direzione, a capire qual è il bene di tutti, a dare profondità all’umano. Questo, secondo me, è quello che il Papa ci dice: il compito della Chiesa è di aiutare tutti a vedere quanto è profondo l’uomo, quanto è ricco, proprio erigendolo come creatura di Dio.
I «Dialoghi di vita buona» si inseriscono in questo percorso?
Di sicuro, vuole essere uno degli strumenti dove allarghiamo quella logica sinodale quando il Papa dice di lavorare per costruire un soggetto unitario, un soggetto unico, di sentirsi tutti uomini, fratelli, legati da questo legame di fraternità umana.
Lo stile della sinodalità emerso a Firenze va vissuto tutti i giorni anche nelle comunità parrocchiali…
Più che uno strumento tecnico, è uno stile che ha la capacità di stimare l’altro. Come ha detto il cardinale Bagnasco chiudendo il Convegno, di riconoscere il legame di responsabilità che ci lega gli uni agli altri, facendolo con stima, sapendo che dipendiamo dagli altri ma, allo stesso tempo, che gli altri hanno bisogno che noi li sosteniamo.
Qual è stato il contributo degli ambrosiani al Convegno ecclesiale?
Hanno fatto vedere alcune sfide con cui la Chiesa italiana si sta misurando, ad esempio la presenza dei migranti. Ma anche il cambiamento demografico, per cui i giovani rischiano di non essere la realtà maggioritaria, ma allo stesso tempo vanno riconosciuti nella loro capacità di futuro, perché il futuro viene da loro. Un altro aspetto è stato il ruolo importante dell’intelligenza, infatti erano in molti che venivano dal mondo delle università. È la sfida culturale che il Cardinale ci ha lanciato nella Lettera pastorale: Milano rimane il crocevia come metropoli di Europa anche per le strutture e gli strumenti che ha. Guai se abdicasse al suo ruolo di pensiero.
Sono previste iniziative in Diocesi sulle conclusioni del Convegno?
La delegazione ambrosiana si ritroverà per leggere l’esperienza. Poi sicuramente lavoreremo a momenti di consegna, affinché tutti coloro che non hanno potuto partecipare possano ascoltare i frutti e allo stesso tempo entrare nel clima e uscirne trasfigurati. Proporremo iniziative attraverso i centri culturali e i Decanati come forme di ascolto, ma soprattutto potremo vivere l’esperienza sinodale che ci mette tutti in cammino.