«È un momento di cui si sentiva l’esigenza», afferma don Augusto Bonora, parroco di San Galdino a Milano, parlando della preghiera che il cardinale Scola ha invitato a recitare in tutte le messe di domenica scorsa dopo gli attentati di Parigi. Un testo che, in questa comunità della periferia est di Milano (che ha tra l’altro recentemente ospitato una visita del Cardinale), sembra essere stato letto e meditato con attenzione dai fedeli. La necessità di silenzio e di invocazione è del resto sentita dalla gente: «L’attentato di Parigi ha destato sicuramente preoccupazione, pur senza suscitare, naturalmente, nessuna reazione scomposta. Si sente piuttosto l’esigenza di un cammino di riflessione insieme alla comunità musulmana». Nel territorio della sua parrocchia, zona di case popolari, don Augusto vede già da tempo la presenza di popolazione immigrata, in buona parte di fede islamica. Il percorso di dialogo coi fedeli musulmani, che nella zona hanno anche un centro culturale e di preghiera, non è nuovo e continuerà naturalmente guardando anche ai temi sollevati dai fatti di questi giorni, da Parigi alle molte situazioni di violenza in Africa.
I parroci raccontano di comunità sensibili alle tensioni internazionali, anche se sottolineano l’attenzione a non enfatizzare ulteriormente nella vita di tutti i giorni l’eco dei tragici attentati di Parigi. «La preghiera che abbiamo recitato domenica sarebbe stata adattissima anche a prescindere da questi attentati – osserva infatti don Ettore Dubini di Crevenna (Erba), responsabile della Caritas per la Zona pastorale di Lecco -. L’invito iniziale del testo, in cui si richiamavano anche la crudeltà che sconvolgono la Nigeria come la recente strage di bambini in una scuola in Pakistan – insieme ad altre terre che non trovano pace, dall’Ucraina alla Palestina -, ha contribuito in qualche modo a elevare la preghiera rispetto alla stretta attualità dei fatti di Parigi, con uno sguardo a 360 gradi». Uno sguardo che diventa senza dubbio spirituale, sottolinea don Ettore, anche grazie ai riferimenti biblici della preghiera, che richiamava il Salmo 8 parlando di «un uomo fatto poco meno di un dio che si corrompe però fino a desiderare la morte». Quanto al sentire della gente, don Ettore ammette che «un po’ di preoccupazione la si respira. Anche se spesso è alimentata da certa politica che grida ai terroristi come se fossero sempre nostri vicini di casa. Mentre rispetto alla realtà dell’immigrazione i nostri fedeli non sono certo impreparati, è un tema che riprendo anch’io spesso durante le omelie…».
Una situazione di ordinarietà è anche quella che si vive a Baranzate, Comune della cintura nord di Milano con una popolazione spiccatamente multietnica. Qui la convivenza all’interno di una stessa comunità civica è già in atto da tempo e il parroco don Paolo Steffano prova a fotografare la situazione: «I commenti ai fatti di questi giorni ci sono stati e la comunità cristiana ha sempre bisogno di pensare il proprio rapporto con gli altri e le altre fedi in particolare, ma la convivenza tra culture differenti viene vissuta dalla gente in modo molto più normale e quotidiano di quanto non appaia sui media».
Riporta il discorso alla necessità di uno sguardo spirituale anche don Giorgio Riva, che guida la centrale parrocchia di Sant’Eustorgio a Milano. A caldo, naturalmente, non sono sorte ancora riflessioni organiche da parte dei fedeli. «Ma la necessità di pregare e di riflettere assieme c’è sicuramente – concorda don Giorgio -. In questi giorni si sentono tante campane e si fatica, invece, ad avere qualche criterio di riferimento che sia anche spirituale. Ai miei parrocchiani ho riproposto l’immagine del battesimo di Gesù che abbiamo appena celebrato nella liturgia: la sua proclamazione e il riconoscimento come figlio di Dio avvengono proprio mentre è immerso, come tutti gli altri, nel Giordano. Un insegnamento che vale anche per noi in questi giorni: come cristiani non possiamo fuggire o isolarci dalla realtà; nello stesso tempo però non possiamo neanche lasciare che le cose “scorrano via”, dobbiamo avere il coraggio di volta in volta di affrontare le cose».