«Accolgo questo riconoscimento con gratitudine e amicizia verso chi ha promosso tale iniziativa, di cui sono davvero lieto». Sono questi i sentimenti con i quali rav Giuseppe Laras, figura eminente del Rabbinato internazionale e del mondo culturale, si accinge a ricevere il titolo di Dottore Honoris Causa della Biblioteca Ambrosiana. Una scelta, nata dal voto unanime del Collegio dei Dottori e che ha trovato subito conferma nell’Arcivescovo di Milano che, della prestigiosa Istituzione, è Gran Cancelliere. Quindi, mercoledì 29 aprile, alle 18, presso la Sala delle Accademie (piazza Pio XI 2, Milano), il cardinale Scola conferirà il Dottorato, dopo un saluto introduttivo del prefetto dell’Ambrosiana stessa, monsignor Franco Buzzi. E, poiché, rav Laras – che proprio in questi giorni, festeggiatissimo, ha compiuto gli ottant’anni – sarà il primo non cattolico a far parte del Collegio dei Dottori, il pensiero va subito al dialogo interreligioso, in primis ebraico-cristiano.
Lei è stato a lungo Rabbino capo di Milano ed è presidente emerito dell’Assemblea rabbinica Italiana, promotore instancabile di confronto tra le fedi. Come vede la situazione oggi?
Non è tutto roseo, anche se Milano è, senza dubbio, un’isola felice per quanto riguarda il dialogo. Occorre, giorno per giorno, combattere contro difficoltà, assenze e anche opposizioni – spesso anche interiori a livello dei singoli – di fronte al riconoscimento reciproco. Certamente tra noi sono stati posti da tempo punti di riferimento precisi e fermi e si sono fatte esperienze comuni che non possono essere dimenticate.
A partire dal suo rapporto, anche di amicizia personale, col cardinale Martini, poi col cardinale Tettamanzi e ora con il cardinale Scola, non vi è dubbio che possa suggerire cammini da percorrere insieme…
Mi torna alla mente ciò che mi disse il cardinale Martini nei primi tempi in cui ci frequentavamo, proprio in ordine allo sviluppo del dialogo: «Bisogna avere pazienza». Una pazienza non statica, ma dinamica, capace di cogliere il momento da privilegiare in una strada pur lastricata di difficoltà.
L’Ambrosiana, con cui lei collabora fin dal 1981, è una grande realtà di respiro sempre più internazionale. La dimensione culturale – come sottolinea spesso il cardinale Scola – può farci uscire dalle difficoltà attuali dell’Europa?
Condivido pienamente questa analisi e penso che si debba valorizzare in ogni modo l’aspetto culturale come formazione dell’individuo. Al contrario, oggi, la cultura intesa in senso generale, comprendente quindi il senso spirituale, manca o è, perlomeno, assai carente. Ci si accontenta della mediocrità e questo è preoccupante.
Gli uomini delle religioni hanno una responsabilità?
Sì, ed è una responsabilità specifica, ma bisogna che vi sia il coinvolgimento di ciascuno in questo momento grave e nel quale si avverte la necessità, inderogabile, di un miglioramento delle nostre relazioni. Dico sempre che, prima del momento religioso, c’è il momento dell’“umanità” che appartiene a tutti.
La Lectio Magistralis che terrà in occasione del Dottorato, si intitola «Tutto è conosciuto, ma la libertà è data». Perché questa scelta?
Ritengo che parlare di libertà sia sempre stimolante. Dilaterò il significato religioso di questo passo rilevante delle Massime dei Padri proprio nella direzione della libertà non solo come possibilità di potersi esprimere ma come responsabilità.