«Siamo tutti chiamati a sviluppare una maggiore consapevolezza. Esistono valori talmente comuni da essere considerati evidenti e scontati, ma non lo sono più, visto che il dibattito culturale li erode e li indebolisce. Il nostro compito è di riaffermarli non con una cattiva apologetica – come direbbe il cardinale Scola – che si contrappone e basta, ma con quella capacità di chi narra la propria esperienza che affascina». Monsignor Luca Bressan, vicario episcopale per la Cultura, la carità, la missione e l’azione sociale, presenta così l’impegno della Chiesa ambrosiana per la famiglia che caratterizzerà il nuovo anno pastorale. Sottolineando, tra l’altro, l’attenzione verso i divorziati e i separati. «Per la Diocesi sarà un anno particolare perché viene dopo l’Incontro mondiale delle famiglie. Terminato l’evento si tratta di raccoglierne l’eredità, senza che la logica dei media ci porti a dimenticare tutto ciò che abbiamo celebrato e che invece – come spesso ripete il Cardinale – deve arricchire la nostra memoria».
Quale eco avrà allora questo evento così importante?
L’Incontro ci ha consegnato un’eredità: anche nella fatica del vivere di oggi, con molto realismo si può ancora affermare che la vita matrimoniale è una vita bella, che realizza l’uomo e la donna e permette loro di generare, di dare il futuro non solo alla fede, ma anche alla società. Questo lo abbiamo visto nel Family 2012 a tre livelli. Innanzitutto, si è visto cos’è una Chiesa di popolo, fatta di persone che dal loro quotidiano si lasciano raccogliere dallo Spirito, in particolare in tutti gli incontri con il Papa. In secondo luogo, che una pastorale ha tutto da guadagnare se prende la famiglia come unità di misura del proprio agire. Quindi ci ricorda che le proposte non sono dei singoli, ma di persone che vivono in questa cellula che le aiuta a crescere e a maturare nella loro fede. Si pensi a come la proposta dell’Iniziazione cristiana deve svilupparsi. Il terzo filone è a livello culturale: oggi si tende a enfatizzare l’attenzione su alcune fatiche del matrimonio. Queste non si possono negare, ma il nostro compito è far vedere che è un’istituzione che non solo tiene, ma che è capace ancora di avere futuro.
Quali sono i filoni principali del percorso di quest’anno?
Chiedere alle famiglie di mettere sempre più al centro della vita di fede il vissuto familiare: vivere meglio lo scambio e la preghiera al loro interno, lasciarsi interrogare dal Signore con la Parola di Dio che ascoltano nell’Eucaristia domenicale e con le parole che ascoltano dal Magistero. Nella Lettera pastorale il Cardinale aiuta a riflettere su questo punto quando nei quattro ambiti particolari pone la famiglia, mettendo in luce le potenzialità e le fatiche con cui è chiamata a misurarsi: la capacità di generare riconciliazione e accoglienza, soprattutto di lenire le ferite di coloro che hanno vissuto un’esperienza matrimoniale che non ha seguito il sogno iniziale, ma che si è inceppata e ha conosciuto difficoltà e ferite.
Quindi, attenzione a partire dalla formazione delle giovani coppie, dei fidanzati…
Un’attenzione che però non vorremmo né tecnica né astratta. Non si tratta di generare “scuole”, luoghi separati dalla vita dove portare le famiglie per formarle; si vuole invece mettere in luce come la formazione sia l’accompagnamento dell’esperienza stessa, famiglie che accompagnano le altre, perché è lì che si trovano le energie per lenire le ferite, soprattutto per dare futuro. La crisi della famiglia spesso non è nient’altro che la fotografia dell’incapacità della società di generare il futuro, è uno dei segni della crisi di speranza che il Papa continua a denunciare come il rischio per la nostra fede.
Infatti, uno dei filoni della pastorale è proprio l’attenzione ai divorziati e ai separati. Quindi la Chiesa si pone questo problema e dà anche risposte. Spesso invece si pensa che chi è divorziato o separato sia “fuori” dalla Chiesa…
Il segreto è la parola dell’Arcivescovo che sembra così nuova, ma in realtà non fa nient’altro che recepire e continuare ciò che il Magistero insegna: non si vuole fare di quelle situazioni un oggetto della nostra attenzione amorevole, quasi fosse una sorta di compassione di mestiere. Al contrario il segreto è far vedere come queste stesse coppie sono soggetto che può vivere davvero un’esperienza di cammino ecclesiale, pur segnato dalla conversione in seguito al peccato, perché un disegno si è infranto e ha fatto sì che il matrimonio non continuasse così come si era pensato all’inizio. Chi vive questa sofferenza, nel fatto stesso di essere battezzato, ha gli strumenti per continuare in modo attivo a vivere l’esperienza della Chiesa, anche nei confronti dei figli, e di nutrirsi a livello spirituale con la preghiera.
Eppure, spesso l’opinione pubblica si stupisce ancora, quasi fosse una novità…
L’opinione pubblica ci induce a fare di queste persone quasi una sorta di malati, un settore a parte. Invece ciascuno è dentro l’unico popolo di Dio, camminiamo tutti verso il Signore. Ognuno si porta la sua storia che non è fatta sempre di cose belle, ma anche di fatiche, di errori, di ferite.
Anche questa attenzione fa parte del contributo della Chiesa ambrosiana al dibattito pubblico, come sottolineato più volte dal cardinale Scola?
Esatto. Due le questioni aperte. Prima: dobbiamo porci con libertà, non deve essere il dibattito pubblico a dettarci l’agenda. Come dice il Cardinale dobbiamo essere noi capaci di narrare ciò che altrimenti non viene ascoltato. C’è un’ordinarietà della vita familiare che funziona e – pur confrontandosi realisticamente con le fatiche – genera, fa crescere, permette all’Italia di vedere un domani. Seconda: abbiamo il dovere di confrontarci con gli stimoli che ci vengono dal dibattito pubblico. Lo si fa nei contesti opportuni e appropriati con i cristiani impegnati, ad esempio nelle sedi politiche, ma anche generando nuovi eventi. Si pensi a quello di Cernobbio che stiamo costruendo insieme ad associazioni familiari, previsto nel mese di aprile: l’idea è parlare alla società civile facendo vedere che cos’è la famiglia e cosa vuol dire immaginare una società che si costruisce a partire da essa, con un Welfare adeguato.