Inizia con questo articolo una nuova rubrica per rileggere e fare nostra la Lettera pastorale dell’Arcivescovo. Lo scopo della Lettera è anche lo scopo di questa rubrica: aiutarci, attraverso lo strumento del paragone (ovvero attraverso lo strumento delle domande sulla nostra vita suscitate dal confronto con la parola dell’Arcivescovo), a discernere la presenza di Dio nella nostra vita, il cammino della storia della salvezza così come si realizza anche nei nostri giorni.
È questo, in fondo, il significato dell’Anno della Fede, nel quale la Lettera pastorale ci vuole introdurre. Come acutamente osserva Papa Benedetto XVI, «anche l’uomo di oggi può sentire di nuovo il bisogno di recarsi come la samaritana al pozzo per ascoltare Gesù, che invita a credere in Lui e ad attingere alla sua sorgente, zampillante di acqua viva» (Lettera Pastorale, n. 2).
Ogni uomo porta in sé il desiderio di conoscere Dio, di incontrarlo, di ricevere come un dono da Lui il senso della propria vita, il compimento di quella felicità che non riesce nemmeno a tematizzare fino in fondo, talmente è essenziale e profonda. Come comunità cristiane siamo invitati a essere esempio di questa ricerca e testimoni della risposta a essa che è l’incontro con il Dio di Gesù Cristo.
Per fare questo, la via è la cura della nostra fede. In essa ci sprona il nostro Arcivescovo: «La fede cristiana è generata e formata dall’incontro con Gesù, verità vivente e personale: è risposta alla persuasiva bellezza del mistero, più che frutto di una ricerca inquieta, è confidenza alimentata dall’incontro con il Signore più che scelta, motivata dalla sfiducia nelle risorse umane e da uno smarrimento che non trova altra via d’uscita».
Una simile attitudine è più concreta e reale di quanto si possa immaginare. Le parole dell’Arcivescovo lo confermano: «L’Anno della Fede invita noi tutti e le nostre comunità a concentrarci sull’essenziale: il rapporto con Gesù che ci consente l’accesso alla Comunione trinitaria e i fa partecipi della Vita divina. Come ogni profonda esperienza amorosa il dono della fede chiede silenzio più che moltiplicazione delle parole, decisione di dedicare tempo alla conoscenza e alla contemplazione più che proliferazione di iniziative, i linguaggi della gratitudine piuttosto che quelli moralistici del puro dovere, l’irresistibile comunicazione di un’esperienza di pienezza che contagia la società più che l’affannosa ricerca del consenso. In una parola: testimonianza più che militanza».
da Avvenire, 06/10/12