Che senso ha il lavoro di Libera Iniziativa Culturale di Ateneo avviato in Cattolica il 18 dicembre 2013? Se lo sono domandato, tra proposte e riflessioni, molti voci di vertice dell’Ateneo stesso in un interessante seminario dedicato al tema, tra prospettive future e traguardi già raggiunti, al quale ha partecipato anche il cardinale Angelo Scola.
L’idea è quella di chiedersi cosa significhi agire come Università Cattolica – «che ha una storia precisa e che si trova in un Paese e non in un altro» – come dice in apertura il rettore Franco Anelli, secondo cui l’ambito cruciale è «un’unità del sapere che costruisca una interdisciplinarietà». Una scelta, quindi, con un preciso profilo accademico ed etico, come richiama il coordinatore Francesco Botturi, ricordando i 383 progetti proposti. Parole cui fa eco l’Assistente ecclesiastico generale della Cattolica, monsignor Claudio Giuliodori, per cui la questione aperta è «l’urgenza di interrogarci sul nostro rinnovamento sia in quanto Università, sia perché cattolica. L’avvio della Libera Iniziativa Culturale di Ateneo è un modo per procedere su questa strada con sinergie e attraverso diversi contributi, e può fare da anima a quello sguardo strategico con cui si intende affrontare l’attuale realtà non semplice», aggiunge.
Di una sua personale soddisfazione, come presidente dell’Istituto Toniolo, parla anche il Cardinale, «per un’iniziativa che può contribuire al recupero di un gusto più deciso di insegnare, di ricercare e di studiare, vivendo la vita ordinaria dell’Università da cui, sola, si evince la qualità di un Ateneo», spiega. E osserva: «Avendo voluto porvi in termini di metodo e di contenuto la questione dell’identità dell’Università Cattolica – questione discussa nel dibattito contemporaneo soprattutto in Europa -, occorre sviluppare la domanda in un ascolto di fecondazione», osserva Scola, proprio perché «l’identità non ha nulla a che fare con una rigida chiusura».
Tanto che sia il Rettore, sia diversi relatori, giustamente inseriscono l’Iniziativa nel processo del nuovo umanesimo cui sarà dedicato il Congresso ecclesiale di novembre a Firenze, su cui sta riflettendo la Chiesa italiana e anche quella ambrosiana dopo il Discorso di Sant’Ambrogio. «Un umanesimo che non è nuovo in sé, ma perché si situa in questo passaggio di millennio che impone un tentativo di risposta ai profondi mutamenti in atto. Cambiamenti che stanno svegliando la nostra Europa e che domandano un “senso” e perciò l’interpretazione di un dialogo effettivo e l’“andare insieme al profondo della realtà”».
La questione in gioco, scandisce il Cardinale, è «quella antropologica come tessuto connettivo di un’esperienza culturale che non può che partire dalla cultura dell’esperienza», così come la definì Giovanni Paolo II. «La questione dell’identità in tutti gli elementi articolati che la strutturano, ne fa questione antropologica, per cercare di vivere e di comprendere l’identità della Cattolica capace, a livello culturale, di rimettere l’uomo al centro dell’Università».
Dalla significatività dell’Indice della mappa di Saperi proposta dalla Libera Iniziativa «che studia gli scenari, soffermandosi sul nesso tra i saperi e l’antropologia Cristiana, altrimenti l’interdisciplinarieta si scontrerebbe con una incomunicabilità dei saperi», emergono così due indicazioni precise.
«La prima è il salto di qualità nel recepire il metodo e i contenuti di lavoro per questa iniziativa che è libera e che tale deve rimanere. Il punto innovativo e la modalità corretta di comunicare è la modalità culturale e antropologica. Bisogna correre il rischio di giocare la propria competenza senza nascondersi dietro una presunta oggettività». Il coraggio da mettere in campo è una «visione cristiana in cui la Cattolica può divenire spazio per il confronto con uomini di altre religioni e anche non credenti, se essi stessi si pongono la domanda di senso».
A dire che «innestare la competenza nella visione cristiana dell’uomo e della realtà» è ineludibile. Così come «il muoversi nell’approfondimento critico del rapporto tra fede e teologia, promuovendo un confronto serrato con tutte le mondovisioni che circolano nel mondo, nella consapevolezza che una società plurale e, dunque, conflittuale chiede un riconoscimento il più largo possibile».
Insomma, poiché dobbiamo vivere insieme, che la vita sia almeno veramente buona e impegnarsi a fare questo nel lavoro stabile, di ricerca, di insegnato e di studio. E tutto in una logica di fraternità, come è nella dinamica rivoluzionaria del cristianesimo e nel suo invito «impegnativo e doloroso» all’amare i propri nemici. Dunque, «relazioni di comunione con tutti e apertura», perché, come scriveva Maritain, «il difficile dell’educazione è che non è un affare di educazione, ma di esperienza».