«Se la libertà religiosa – espressione emblematica della libertà di coscienza che riguarda chi crede e chi non crede – non diviene libertà realizzata, posta a capo della scala dei diritti fondamentali, tutta la scala è destinata a crollare». È questo il messaggio del cardinale Scola contenuto nel suo nuovo libro Non dimentichiamoci di Dio. Libertà di fedi, di culture e politica (Rizzoli, 123 pagine, 15 euro).
A partire dal XVII centenario dell’Editto di Milano, Scola indaga sul pensiero e sulla pratica della libertà religiosa, al centro di un dibattito più che mai attuale e complesso per le marcate diversità che il problema presenta nelle democrazie rispetto alle dittature, nei Paesi a maggioranza musulmana e in quelli più secolarizzati.
Dopo aver ripercorso, per sommi capi, il cammino travagliato della libertà religiosa dall’initium mancato di Costantino e Licinio fino al Concilio Vaticano II, a Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, il Cardinale si sofferma su vari “nodi” del problema, in particolare sulla libertà di fedi e di culture nella società plurale. E parla del valore irrinunciabile della aconfessionalità dello Stato: per l’Arcivescovo di Milano è necessario uno Stato che, senza far propria una specifica visione, non interpreti la sua aconfessionalità come “distacco”, come una neutralizzazione delle fedi e delle culture che si esprimono nella società civile, ma apra spazi in cui ciascun soggetto, personale e sociale, possa portare il proprio contributo all’edificazione del bene comune.
In questo orizzonte, la libertà di religioni e di culture si presenta come la più sensibile cartina di tornasole del grado di civiltà delle nostre società plurali. Non c’è spazio nelle pagine del libro per sterili nostalgie del passato, ma a partire dal bene pratico comune che è l’essere insieme si suggerisce qualche passo per il cammino futuro.