Martedì 2 giugno, alle 10, nella Basilica del Seminario Arcivescovile Pio XI di Venegono Inferiore (Varese), il cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato Vaticano, conferirà l’ordinazione episcopale a monsignor Piergiorgio Bertoldi, sacerdote ambrosiano nato a Varese, che lo scorso 24 aprile papa Francesco ha eletto Arcivescovo titolare di Spello e nominato Nunzio Apostolico in Burkina Faso e Niger. Coconsacranti saranno il cardinale Scola e il cardinale Baldisseri, concelebreranno anche i cardinali Tettamanzi e Stella, una ventina di Vescovi e molti sacerdoti. Al termine della celebrazione, alle 13, avrà luogo il pranzo. Abbiamo intervistato monsignor Bertoldi.
Lei si è definito un «uomo con la valigia sempre pronta». Pur avendo una lunga esperienza internazionale, sente una nuova responsabilità, divenendo Vescovo?
La definizione non è mia, credo sia piuttosto una definizione consueta dei rappresentanti pontifici e dei loro collaboratori. L’ha usata anche Papa Francesco nel suo discorso ai Nunzi il 21 giugno 2013, nel quale però sottolineò che essi debbono essere soprattutto pastori, proprio perché vescovi. Le esperienze che ho vissuto sino a oggi mi hanno preparato all’aspetto diplomatico, meno a quello ministeriale, perché quest’ultimo rappresenta un cambiamento sostanziale nella mia vita. È però vero che convivere per vent’anni a fianco dei miei capi missione mi ha offerto l’opportunità di vedere da vicino, quasi di sentire, cosa significhi essere Vescovi. I loro esempi mi hanno aiutato a crescere e mi offrono dei modelli cui ispirarmi. Il fatto che ben quattro di loro mi imporranno le mani il 2 giugno mi aiuta a guardare a quel momento e al cambiamento che esso significherà per la mia vita con fiducia, fiducia nel sostegno della loro preghiera, della loro amicizia, della loro stima, ma soprattutto nello Spirito Santo al quale con quel gesto, insieme agli altri Vescovi presenti, mi affideranno.
I suoi incarichi, a livello diplomatico e pastorale, sono stati molteplici in questi anni. C’è un luogo, una situazione che le è rimasta particolarmente impressa?
Scriveva Fernando Pessoa: “In piena luce anche i suoni brillano”. La sua domanda mi è stata posta molte volte, e tutte le volte l’ho accolta come una luce capace di far suonare la memoria, di provocarmi in maniera da ricomporre i ricordi in una sorta di musica sulla quale far vibrare le corde del mio cuore. Più di una volta mi sono chiesto se non sono un po’ superficiale per il fatto che non riesco alla fine a identificare una esperienza o un momento che più di altri mi sia rimasto impresso. Ce ne sono alcuni, ma in realtà mi rendo conto di essere stato guidato dalla Provvidenza. Mi spiego: quelli che, di primo acchito, sembrano emergere tra i ricordi perché sembrano brillare di luce propria, di fatto sono tali perché si tratta di momenti, di incontri, di esperienze che ho avuto la grazia di vivere nella luce di ciò che li ha preceduti, che sono riuscito a vivere con intensità, rispetto o particolare attenzione grazie ai passi sui precedenti sentieri che ero stato chiamato a percorrere. Più che un particolare momento, grazie alla sua domanda, ho l’impressione che si illumina il filo rosso della Provvidenza che li unisce, un filo che talvolta si è nascosto nelle tenebre della violenza – penso, per esempio, all’esperienza della guerra in Congo Brazaville -, ma che poi riaffiora nei sentieri della fraternità nella quale sono stato accolto. O ancora, un filo rosso che pare quasi sbiadito nel tripudio di colori che una chiesa come quella brasiliana sa offrire, ma che riacquista la sua brillantezza nel momento in cui realizzo che si tratta dello stesso filo che mi ha legato alla piccola, discreta e quasi silenziosa chiesa di Theran, chiesa però capace di rapire il mio cuore per il calore della sua autenticità e sincera condivisione. Le affido un unico ricordo, che, per la sua gratuità, è quasi sintesi delle sorprese che Dio mi ha riservato. Durante la Gmg di Rio de Janeiro compivo 50 anni, e quel giorno concelebrai con papa Francesco nella cappella della casa dove alloggiavamo. Programmarlo non sarebbe stato possibile, solo la Provvidenza sarebbe stata capace di tanto, e lo è stata così come in tutte le altre esperienze in giro per il mondo.
Quale motto episcopale ha scelto e quali le ragioni?
“Collaboratori della vostra gioia” era il motto dei sacerdoti di Milano ordinati nel 1988, il mio motto fin da allora. A fare nostre le parole di San Paolo ai Corinzi fu lo stile dell’allora Arcivescovo, il cardinale Martini, con cui facemmo anche un pellegrinaggio come giovani preti sulle orme del giullare di Dio, San Francesco, nel corso del quale ci fu spazio anche per una visita a Spello, sulla tomba di Carlo Carretto. Dopo tanti anni, il Papa con la Evangelii gaudium mi ha ricordato quanto la citazione di San Paolo sia ancora attuale nella mia vita. Quando poi mi ha nominato vescovo ho scoperto, per caso, che la sede titolare di Spello era vacante e ho chiesto che mi fosse assegnata, perché insieme al motto, mi sembrava facesse sintesi di quanto debbo al vescovo che mi ha ordinato prete, ai sentieri percorsi sotto la sua guida quando ero ben lungi dal pensare dove il servizio del Vangelo mi avrebbe condotto.
Con quali sentimenti inizia il suo Ministero di Nunzio Apostolico in Burkina Faso e Niger?
Una sola cosa credo di aver imparato in quasi vent’anni di questo servizio pastorale: occorre iniziare nel rispetto della Chiesa che mi accoglie, della sua cultura, dei suoi stili e, con umile pazienza tentare di farli miei. So di essere inviato a una Chiesa giovane e ricca di speranze, di cui il numero delle vocazioni è un segno evidente. Spero di essere capace di ricambiarla offrendole qualche tratto della nostra storia ambrosiana, per dare vita a quello scambio di carismi che è lo spirito della cattolicità. Sarà poi mio dovere sforzarmi di essere ponte di cordiale incontro e dialogo tra le Chiese locali e Roma, ma anche che si tratta di un compito reso facile dal desiderio di vivere la comunione e la cattolicità di quelle stesse chiese locali. So, come è sempre avvenuto sinora, che sarà molto di più ciò che riceverò di quanto potrò offrire, ma è questo il salario promesso da Gesù: il centuplo quaggiù e la vita eterna.
Ma è vero che, da bambino, voleva fare il cuoco?
Sì, ma forse perché mi piace la compagnia intorno alla tavola. Mi è rimasta la passione per la cucina, non perché sono un bravo cuoco, al contrario, ma cucinare mi rilassa e mi prepara all’incontro con gli ospiti ai quali, il più delle volte, mi pare di non essere in grado di offrire un granché in intelligenza o in idee: così, cerco di compensare con il cibo…