“Nessuno è disposto ad imparare quello che crede di già sapere”. E, invece, l’amore, quello vero, si impara, giorno per giorno con la fedeltà, il dono di sé, la fecondità concreta e spirituale di ciò che da questo stesso amore nasce. Il cardinale Scola, che parla ai giovani che si preparano al matrimonio, offre loro una chiave preziosa per comprendere fino in fondo la profondità del mistero nuziale che si apprestano a vivere. Sono tanti fidanzati che arrivano alla spicciolata e che nella Basilica di Sant’Ambrogio ascoltano con attenzione le parole dell’Arcivescovo, ma anche la testimonianza in forma di dialogo attraverso cui due coppie raccontano il loro amore. Il filo rosso che lega tutto è appunto il più misterioso dei sentimenti umani, l’amore, il “bell’amore”, quello declinato secondo il Cantico dei Cantici e quello quotidiano fatto delle paure e dei sogni, dell’entusiasmo e del futuro di Stefania con Simone e di Chiara con Luca.
«Qui la Comunità ecclesiale si mostra e guarda a voi con infinita tenerezza, fiducia e speranza. Custodite il bene vicendevole come un tesoro prezioso, ma non tenetelo solo per voi, mostrate che avete trovato il bell’amore», dice Michela Tufigno responsabile con il marito e don Luciano Andriolo del Servizio diocesano per la Famiglia.
A loro e ai giovani – qualche centinaio – il Cardinale esprime la sua personale gratitudine «per un dialogo attraversato dal desiderio di una reciprocità vivente».
Ricordando l’esperienza di dialoghi simili vissuti, per oltre dieci anni, come Patriarca di Venezia, l’Arcivescovo sottolinea il motivo profondo dell’incontro: «Tutti voi percepite che nel vostro amore è in gioco una “x”, un mistero più grande: entrare nel segreto dell’amore senza la pretesa di dominarlo e cercare di cogliere quanto vi è successo con l’aiuto degli altri. Sentite il desidero di consegnare il vostro rapporto, segnato dalla nuzialità, a qualcuno che sia più esperto dell’amore: Gesù. Si può amare solo in vista della pienezza, altrimenti è amore».
Per questo, suggerisce ancora Scola, «è molto importante coinvolgersi in prima persona nello scambio aprendo il cuore e rigenerando, nello sguardo dell’amata e dell’amato, il nostro stesso sguardo».
Da qui un primo passo, nel riferimento proprio al Cantico «che aiuta a scoprire in termini profondi il linguaggio del corpo, l’eros, l’amore come passione che possiede una sua evidenza naturale. Linguaggio che è uno dei luoghi privilegiati per vedere che la vita viene prima di qualsiasi teoria di comprenderla». Un eros di passione che, se sperimentato con equilibrio, ha una continuità con l’agape, l’amore di donazione, così come ha dimostrato Benedetto XVI.
«La passione che ti spalanca all’altro, affrontata con realismo, è una molla che aiuta il desidero ad andare verso il suo compimento. La frase “Il mio amato è mio e io sono sua”, dice un’appartenenza, un essere “io ma non più io”. Questo è il modo con cui Cristo ama e di cui è immagine l’amore tra un uomo e una donna. Ecco perché il bell’amore non è una teoria astratta, ma la persona di Gesù, bellezza visibile del Dio invisibile. Tanti giovani che si illudono di poter sostituire un’esperienza di questo genere con un cambiamento di partners, non sanno cosa perdono».
Esiste, dunque, quello che il Cardinale chiama un tragitto dell’amore da percorrere partendo dall’eros che inizia dall’auto-evidenza della differenza sessuale. «Poiché viviamo nella carne, il frutto buono di questo dono di sé è la vita. Tale è il tragitto dall’eros all’agape dove non si strumentalizza l’altro». Contrariamente ai modelli oggi dominanti «se si vuole l’amore autentico, l’agape tiene vivo l’eros e l’eros consente la libertà di muoversi verso l’agape. Questa unità dell’io che, partendo dalla differenza sessuale, apre al dono di sé è il mistero cristiano È il mistero nuziale che sta al cuore del matrimonio cristiano».
Evidente la conseguenza: la fedeltà – «nella sostanza l’amore autentico è per sempre» – e la fecondità non sono aggiunte secondarie, ma fanno parte dell’essenza stessa dell’amore, perché “l’amore non è amore se viene meno quando l’altro si allontana” come scriveva Shakespeare.
Infine, l’auspicio: «Cosa succederà il giorno in cui vi presenterete davanti alla Comunità cristiana e vi impegnerete nel matrimonio come fondamento della famiglia, cellula insostituibile della società, soggetto principale dell’annuncio di Cristo, vera Chiesa domestica? Sceglierete il dovere della fedeltà e della fecondità come espressione del bell’amore. Non baserete la fedeltà e la fecondità sulle sabbie mobili della nostra fragilità, ma sul fondamento roccioso di Cristo stesso. E a questo dovrete guardare in tutte le situazioni di vita, con il dovere della fedeltà e della fecondità perché Cristo è fedele sempre. L’avventura stupenda di una vita che il matrimonio e la famiglia garantiscono diventa così un’esperienza reale. È questo l’augurio dell’Arcivescovo».
E dopo che i fidanzati si sono scambiati nel silenzio le proprie riflessioni attraverso un messaggio scritto e il saluto ai piedi dell’Altare maggiore a ciascuna delle coppie, un’ultima raccomandazione: «Siamo stati creati uomini e donne perché siamo fatti a immagine dell’amore trinitario. La categoria di differenza in Occidente è entrata per spiegare proprio la Trinità. Vi è quindi una continuità profondissima tra i misteri della vita cristiana e la vostra esperienza».