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Sirio 09 - 15 dicembre 2024
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Milano

Scola: «San Carlo e Montini
modelli vicini e amici»

Nel Pontificale presieduto nella Solennità di San Carlo Borromeo e in rendimento di grazie per la Beatificazione di Paolo VI, il Cardinale ha sottolineato l’attualità della santità borromaica e la necessità, come comprese profeticamente l’arcivescovo Montini, di «convertire il cuore per dare risposte al cambiamento dei tempi». Al termine della Celebrazione, l’inaugurazione della statua “Paradosso” realizzata, su volontà della Fabbrica del Duomo, per Expo 2015

di Annamaria BRACCINI

4 Novembre 2014

Un modello di vita, anzi un esempio vicino e amico, così come lo sono tutti i Santi. Eppure, forse, questa definizione è tanto più vera per San Carlo Borromeo, il grande rifondatore della Chiesa ambrosiana di cui è il Copatrono.
E se, ritrovarsi in Duomo, nel giorno della sua festa liturgica è sempre un momento importante per la vita della Diocesi, quest’anno il Pontificale solenne presieduto dal Cardinale Scola lo è ancora di più, perché la stessa Messa è celebrata in rendimento di grazie per la recente beatificazione di Giovanni Battista Montini-Paolo VI.
Non mancano i segni, anche tangibili, di queste due memorie che si intrecciano in modo indissolubile tra loro, nel nome della Chiesa universale e di quella particolare ambrosiana. Infatti, l’Arcivescovo utilizza il calice di san Carlo, donato dalla famiglia Borromeo al cardinale Andrea Carlo Ferrari e ha al dito l’anello Carolino, portando il Pastorale di Montini, indossa la mitra montiniana, la Croce dell’Arcivescovo Beato a lui donata in occasione del cardinalato e la Casula regalata a papa Paolo VI dai Vescovi cinesi nel 1967.
In Cattedrale sono tanti i fedeli, i seminaristi di Milano e di Lugano, le religiose, i diaconi permanenti, i membri delle Confraternite (quella del Santissimo Sacramento fu fondata dal Borromeo), i rappresentanti di Movimenti e Associazioni, i presbiteri che concelebrano così come il cardinale Tettamanzi, dieci Vescovi, i Vicari episcopali, il Capitolo Metropolitano. Siedono, alla Cattedra, accanto all’Arcivescovo, l’arciprete del Duomo, monsignor Borgonovo, per il Capitolo riformato dal Santo; monsignor Marinoni, moderator curiae, per la Curia appunto riorganizzata dal Borromeo, monsignor Cresseri, prevosto generale degli Oblati dei Santi Ambrogio e Carlo, da lui fondati e don Di Tolve, rettore del Seminario che, voluto dal Santo Vescovo, compie 450 anni di vita.
Anche solo queste presenze basterebbero a dare concreta evidenza, a quasi mezzo millennio dalla nascita del Copatrono, all’attualità viva del «grande Santo che ha contribuito, in modo assai significativo, a dare volto a quel cattolicesimo popolare ambrosiano che caratterizza la nostra Chiesa», come dice il Cardinale aprendo la sua riflessione nell’omelia.
Dunque, non certo un «modello lontano tanto perfetto quanto irraggiungibile», ma un esempio «in cui possiamo riconoscerci anche oggi».
Cita, Scola, proprio quanto scriveva il beato Montini del Santo predecessore, per delineare il senso di questa attualità, ieri come oggi, fondata sulla “passione delle anime e sull’urgenza della carità”. “Luoghi” reali e spirituali di un’attenzione e cura pastorali che in San Carlo nascevano dall’immedesimazione personale con il Signore e, sul Suo esempio, dal dono della propria vita per i fratelli.
«Quante volte fatichiamo a disporre il nostro cuore e la nostra mente a questo tema del non tenere per sé la vita, ma di donarla, anche perché essa stessa ci è stata data per darla a nostra volta. Quante volte – scandisce il Cardinale – dimentichiamo che qui è la radice di quel narcisismo che attanaglia le nostre società e anche noi che siamo uomini e donne del nostro tempo».
Emerge, invece, proprio da una tale consapevolezza, quella «importante conseguenza» che già Paolo VI aveva identificato: «Una gratitudine amorosa al Buon Pastore che rende per gli altri attraente, persuasiva, conquistatrice, la fede», anche perché «il cristianesimo, come ci ricorda spesso Papa Francesco, si diffonde per attrazione».
In questo senso, figure di buoni pastori, come il Borromeo e Montini, richiamano la necessità del cambiamento del cuore come pure quella che, con un termine particolarmente adatto a San Carlo, si potrebbe chiamare l’urgenza di una riforma ecclesiale che, nascendo «dall’appassionato ascolto personale e comunitario dei segni dei tempi, ci invitano al cambiamento della fisionomia della proposta cristiana nella nostra società plurale».
Una sfida percepita e già raccolta dalla Chiesa ambrosiana «ad esempio, nella comunione missionaria delle Comunità pastorali; nel rinnovamento della iniziazione cristiana con le Comunità educanti; nella formazione permanente del Clero, nell’evangelizzazione della metropoli, nella valorizzazione della famiglia come soggetto diretto di evangelizzazione quale reale Chiesa domestica. Vogliamo – nota l’Arcivescovo – percorrere le vie dell’umano, essendo Chiesa in uscita, testimoniando Cristo come contemporaneo a ogni uomo di oggi e offrendo il nostro contributo all’edificazione della vita buona nella metropoli di Milano e in tutte le terre ambrosiane».
E questo «per vincere la malattia endemica che rischia di estenuare noi cristiani di oggi, la profonda divisione tra la fede e la vita», già bene e profeticamente aveva compreso l’arcivescovo Montini.
Come, e più di cinquant’anni fa, di fronte a questa situazione di fatto, non basta «denunciare, ma occorre farsi testimoni credibili di speranza affidabile, un bene sempre più raro in una società come la nostra. E, per farlo siamo chiamati a condividere il segreto di uomini santi come San Carlo. Quel segreto che il Beato Paolo VI ci ha svelato con la commovente preghiera: “Cristo, Tu ci sei, mi sei necessario”».
Dunque, guardare alla loro esemplarità per convertire il nostro cuore, lasciandoci guidare «da chi ci può prendere per mano e aiutarci a ritrovare la strada, camminando con passo più deciso», conclude il Cardinale, dopo aver incensato la reliquia del beato Montini e aver brevemente sostato in preghiera silenziosa davanti al prezioso reliquiario realizzato dalla Scuola “Beato Angelico” che racchiude la maglia macchiata di sangue indossata da Montini a Manila nel novembre 1970, quando fu vittima del fallito attentato. La reliquia, rimarrà nella nostra Diocesi e viene portata all’altare da monsignor Attilio Cavalli, penitenziere emerito della Cattedrale, sacerdote ordinato nel primo anno dell’Episcopato montiniano (con lui nella breve processione anche suor Emma Ruggeri, delle suore di Maria Bambina, in servizio durante la permanenza ambrosiana del Beato e Susanna Poggioni, sorella maggiore delle Ausiliarie diocesane fondate dall’allora Arcivescovo).
Infine, terminato il Pontificale, ancora un significativo evento: l’inaugurazione della statua di oltre tre tonnellate dell’artista britannico, Tony Cregg, intitolata “Paradosso”, ispirata dalla Madonnina e realizzata in marmo per Expo 2015. Rimarrà visibile in Cattedrale fino al prossimo 31 marzo. Scoperta dal cardinale Scola – «mai come per l’arte contemporanea vi è bisogno di uno sguardo approfondito e ripetuto» – e dal presidente della Fabbrica del Duomo, Angelo Caloia, simboleggia, in anteprima, la mostra che questo scultore di fama mondiale porterà sulle Terrazze.

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