Nell’ecumenismo le esperienze di fede si incontrano, si confrontano e reciprocamente si arricchiscono: ascoltare gli altri ed esprimere le proprie identità è il primo passo per andare oltre il silenzio e rendere udibile la propria voce. La Settimana di preghiere per l’unità dei cristiani è un‘occasione da cogliere per mettere in atto questo atteggiamento. Un vibrante invito ad interrogarci sul profondo significato di ecumenismo ci viene dalla pastora Lidia Maggi.
di Lidia Maggi,
pastora battista – Milano
Il battismo italiano, sorto in un contesto a maggioranza cattolica con l’intenzione di richiamare alla fedeltà evangelica quanti vivevano una religiosità per tradizione o nell’indifferenza, si ritrova oggi a muovere con convinzione i propri passi lungo il cammino ecumenico, sempre in nome della fedeltà iniziale. La sequela di Gesù nella storia, infatti, richiede una libertà e un’attitudine al discernimento che non può tradursi nello stare fermi nelle posizioni di partenza. Qohelet direbbe che «c’è un tempo per strappare ed uno per cucire!».
Le chiese battiste italiane sono oggi fortemente impegnate nell’ecumenismo. Cosa intendiamo per ecumenismo? Non un generico atteggiamento di tolleranza, in base al quale tutte le esperienze religiose si equivalgono. Perseguiamo un ecumenismo “a caro prezzo”, nel quale la libertà religiosa, tanto cara alla tradizione battista, non sia confusa con l’indifferenza tra cristiani di diverse confessioni; un ecumenismo che non confonda neppure l’unità voluta da Gesù (Gv 17) con l’uniformità, ma la ricerchi nella prospettiva della “comunione nella diversità”.
La posta in gioco nel cammino ecumenico è niente di meno che la qualità evangelica della fede. Non si può ridurre la Parola dell’Evangelo alla comprensione che ne ha la singola chiesa. Abbiamo bisogno della testimonianza delle altre realtà confessionali per rispondere alla chiamata di Dio. Con Paolo dobbiamo riconoscere che «ci sono molte membra, ma vi è un solo corpo. E l’occhio non può dire alla mano: “io non ho bisogno di te”; né parimenti il capo può dire ai piedi: “io non ho bisogno di voi” » (1Cor 12, 20-21).
Senza rimuovere le differenze tra le varie chiese, lo spirito ecumenico cerca di rendere fruttuosa tale diversità. Non vogliamo rinunciare al nostro specifico, alla nostra appartenenza confessionale, poiché è nella concreta esperienza della chiesa che si matura una fede adulta e responsabile. Tuttavia sentiamo di dover cogliere la forza profetica racchiusa nell’impegno ecumenico. Oggi, noi battisti italiani siamo chiamati a ridire la nostra tradizione non più in chiave polemica ma in continuo ascolto dell’altro. Intuiamo che annunciare l’Evangelo richiede la disponibilità a lasciarsi interrogare. Temiamo una società che sempre meno è disponibile al confronto.
Nella prospettiva ecumenica la diversità diventa dialogica: i fratelli e le sorelle si interpellano a vicenda, in tutta franchezza, al fine di convertirsi insieme a quell’Evangelo di cui nessuno è padrone e tutti sono discepoli. E’, dunque, uno stimolo a ricercare una maggior appartenenza a Cristo e a maturare un cuore missionario in risposta alla chiamata all’evangelizzazione, senza confondere tale evangelizzazione con la propaganda della propria chiesa.