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Riflessione della Pastora Anne Zell PORTARE LE SOFFERENZE GLI UNI DEGLI ALTRI

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12 Gennaio 2007

Farci Chiesa che condivide le sofferenze e che porta i pesi gli uni degli altri: questa la riflessione che ci propone la pastora Anne Zell, a partire dal tema della Settimana.

di Anne Zell,
pastora della Chiesa valdese in Milano

Come ogni anno nel mese di gennaio dal 18 al 25 si celebra in tante chiese in tutto il mondo la Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani, partendo dagli stessi testi biblici e basandosi sulle medesime liturgie. E quest’anno i cristiani sono chiamati ad esprimere la loro unità, sempre in crescita, "rompendo il silenzio" e unendosi per reagire alla sofferenza umana.

Pochi però sanno che la scelta dei testi e la preparazione delle liturgie non viene eseguita da teologi specialisti, ma da gruppi ecumenici di base, scelti ogni anno da un Paese diverso. Il materiale viene da un contesto di vita e di fede reale e rispecchia la situazione concreta dei credenti.

Quest’anno riceviamo la testimonianza di un gruppo del Sudafrica di una zona (la regione di Umlazi, vicino alla città di Durban), dove circa la metà della popolazione è colpita dall’AIDS, dove anche tanti bambini sono o infetti o orfani di genitori già vittime di questa terribile malattia. L’Africa è il continente più colpito con meno possibilità di accedere a cure costose ed efficaci. Ma ciò che rende ancora più difficile un aiuto concreto e che aggrava la situazione è il muro di silenzio che impedisce alle vittime di parlare della loro sofferenza e a noi di sentire il loro grido. L’Evangelo scelto per la Settimana di Preghiera ci invita a rompere il silenzio, a sentire e a far sentire il grido dei sofferenti ed emarginati, ma anche ad accogliere il messaggio di coraggio e di fiducia attraverso i testi delle liturgie. Siamo chiamati a pregare insieme invece di giudicare, e a lasciarci illuminare dalla testimonianza di credenti lontani, ma in Cristo vicini, anzi, parti di un unico corpo (1 Corinzi 12, 19-26).

Noi siamo un solo corpo in Cristo. La miseria di alcuni membri del corpo non è un loro problema, ma un problema di tutti. Il pianto di quanti sono infetti non può essere ignorato o disprezzato da coloro che lo considerano un giudizio di Dio. Se Paolo è nel giusto quando afferma: «Se una parte soffre, tutte le altre soffrono con lei» (1 Cor 12,26), allora noi possiamo dire che «tutta la chiesa soffre dell’AIDS».

Noi siamo legati insieme, in quanto unico corpo di Cristo. Insieme dobbiamo farci carico degli emarginati e degli abbandonati. La grande piaga dell’AIDS necessita una chiesa unita, non una chiesa segregazionista o divisa. Necessita di una chiesa che costruisce una comunità di compassione e di fede, come unico corpo di Cristo. Una comunità che spezza il silenzio dei dimenticati e che ascolta il grido dei sofferenti.

Pregare insieme fra credenti di differenti confessioni perciò non è, come alcuni temono, soltanto un mero esercizio di visibilità, di cortesia reciproca, di presenzialismo, ma significa farsi carico della sofferenza altrui insieme, rompendo il silenzio, e ricevere la testimonianza di fratelli e sorelle lontani ma uniti a noi nella stessa fede. «O Dio eterno, Tu sei la speranza di coloro che sono stati depennati dalle agende del mondo; Tu ascolti il pianto dei cuori feriti e delle anime disperate. Insegnaci, nel potere del tuo Spirito, ad ascoltare come Tu ascolti, e a percepire, anche attraverso il silenzio, la voce di chi soffre e attende. Accresci in noi la consapevolezza di essere l’unico corpo di Cristo, comunione di solidarietà e segno profetico della tua giustizia e della tua grazia incarnata».