Tre parole per dire grazie, per sottolineare la sapienza che nasce dall’esperienza fatta e per proporre di andare avanti. Sono quelle che l’Arcivescovo lascia, come riconoscimento per il servizio reso negli ultimi due anni e come consegna per il futuro, ai più di 600 volontari e volontarie di tutte le età, provenienti da ogni Zona della Diocesi, impegnati nell’accoglienza in chiesa durante il tempo di pandemia, presenti con entusiasmo all’incontro di preghiera presso la Casa dei Padri Oblati Missionari di Rho. Un momento voluto dall’Arcivescovo e dal Vicario generale, monsignor Franco Agnesi, presente a questo appuntamento atteso, insieme ai Vicari episcopali di Zona e al superiore degli Oblati, padre Patrizio Garascia.
Le parole dell’Arcivescovo
«La prima parola, la più necessaria, è grazie – dice infatti l’Arcivescovo -. Sentiteci il grazie del Signore stesso. Grazie per aver svolto il vostro servizio, tenendo sicure le chiese, evitando i contagi, essendo accoglienti, ma facendo tutto questo pregando. Portate anche a chi non è qui questo grazie. Desidero che voi sentiate la gratitudine della Chiesa», aggiunge, notando come alcuni gruppi siano accompagnati, significativamente dai loro parroci.
La seconda parola è la sapienza: «L’esperienza fatta, l’incontro con tante persone, ci fanno capire che nel gesto semplice, ma ripetuto, che tiene insieme l’attenzione e il rispetto per tutti, possiamo imparare molto. Impariamo che, per quanto abbiamo tanti difetti, sappiano fare un gran bene, anche solo con un piccolo segno, un sorriso, una parola». Insomma, quella sapienza che aiuta a capire e a riconoscere le persone e noi stessi.
Infine, la terza parola: «Avanti». «Spero che presto tutte le norme di precauzione decadano, ma vorrei proporvi di andare avanti, per il desiderio di dare alle comunità un tono accogliente e alle celebrazioni un senso e il clima di una famiglia che si ritrova e si riconosce nel Signore».
Con quello stile di cui, d’altra parte, si fa interprete l’Arcivescovo stesso all’ingresso del Santuario della Beata Vergine Addolorata, accogliendo personalmente, tra fotografie e sorrisi, i volontari a cui dedica la lettera «Ogni porta un sorriso» (appunto titolo anche dell’incontro), distribuita a tutti, al termine il Rosario meditato che viene preceduto da due testimonianze.
Le testimonianze
La prima è di Roberto e Mariella, tra i 30 volontari proprio del Santuario: «Dal maggio del 2020 abbiamo semplicemente detto “sì” e comunque da tempo desideravamo vivere un servizio di carità. All’inizio pensavamo che fosse solo un’attenzione alla sanificazione e alle mascherine, ma nel tempo, è arrivato il distanziamento, accompagnare i sacerdoti a distribuire la comunione, osservare tutti i protocolli, distribuire e sanificare i posti che, in totale, qui sono 350 sulle panche e circa 400 con le sedie. Abbiamo imparato tanto anche se non è sempre stato sempre facile», racconta Roberto. Infatti, dopo la forzata interruzione delle celebrazioni eucaristiche a partire da domenica 23 febbraio 2020, le Messe con l’assemblea sono riprese il successivo 18 maggio con l’attivazione di gruppi di volontari dell’accoglienza.
«Servizio e accoglienza sono le due parole del nostro cartellino identificativo, non sono solo cose da fare, ma un modo di vivere la Chiesa: avendo ricevuto il dono della fede lo abbiamo offerto aprendo le nostre mani. Questo è il servizio secondo noi. Noi per primi abbiamo sperimentato un’amicizia, un’accoglienza anche dai Padri Oblati e la proponiamo agli altri».
Poi Norma, della Comunità pastorale di Desio, che ricorre all’immagine di Marta e di Maria, necessarie entrambe per un impegno tanto prezioso, specie in tempo di emergenza: «La risposta è stata pronta e generosa, da parte più di 50 persone, garantendo sempre una pulizia e ordine estremi», osserva.
Il Rosario meditato
Insomma, non solo un «grazie», ma la scelta di «uno stile di relazione all’interno delle nostre comunità», come viene detto all’inizio della recita del Rosario, evidenziando il desiderio condiviso «di imparare la bellezza dell’accoglierci vicendevolmente», sull’esempio di Maria che «ci dice che accogliere è ascoltare, abbracciare, custodire, consolare e attendere».
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E così Maria in ascolto della Parola dell’angelo dell’Annunciazione, Maria che abbraccia Elisabetta; Maria che custodisce la gioia, facendosi carico che non manchino i segni della festa alle nozze di Cana; che, ai piedi della croce, consola e accoglie il discepolo Giovanni e Maria che con gli Apostoli attende il compimento della promessa e apre alla speranza, diviene l’icona del servizio svolto da tante persone le quali, volontariamente, hanno scelto di non chiudere le porte agli altri, ma di aprire le braccia.
La lettera e il decalogo
La “fonte” evangelica, si potrebbe dire, del «decalogo» del servizio di accoglienza proposto dall’Arcivescovo, che parte dal primo punto con «a ogni ingresso un sorriso» per arrivare all’ultimo, «per ogni persona incontrata una preghiera, stasera», passando dall’«attenzione più grande per chi ne ha più bisogno». Proprio perché «arrivano anche persone anziane che devono trovare un posto a sedere. Arrivano anche persone di tutte le età in carrozzina. Arrivano anche persone un po’ perse che hanno bisogno di essere rassicurate. Il ministero dell’accoglienza deve essere più attento a chi ha più bisogno di orientarsi nell’assemblea, di sentirsi rassicurato, di riconoscere il senso delle cose e la finalità del tutto». E poi, naturalmente, «a ogni uscita un augurio» e «ad ogni congedo un invito a tornare».
Torna alla mente, allora, quel semplice paragrafo della lettera che da solo dice tutto di ciò che è stato fatto e che è un invito a vivere un futuro promettente e di speranza: «Anche grazie al vostro servizio e alle intenzioni degli uni verso gli altri si può affermare con una certa sicurezza che nessuna celebrazione è stata un focolaio della pandemia. E molte ferite e angosce hanno trovato sollievo e guarigione nella celebrazione dei santi misteri».