La foto che compare qui sotto è l’emblema di cosa fosse nel 1968 l’Oratorio Patronato Sant’Antonio nel quartiere Isola di Milano: centinaia di bambini, ragazzi, giovani e uomini in posa attorno al loro sacerdote, don Eugenio Bussa, nel suo 40° anniversario di ordinazione.
Don Eugenio, nato nel quartiere Isola nel 1904, fu ordinato sacerdote nel 1928. Rimase sempre presso il Patronato – non parrocchia, ma oratorio maschile -, prima come coadiutore e poi come direttore. Ciò che colpiva noi ragazzi erano il suo carisma, la sua figura, il suo esempio, la capacità di stare con piccoli e grandi.
Don Eugenio sapeva comandare e farsi ubbidire senza mai alzare la voce, anche perché era il primo a dare l’esempio nei lavori da svolgere. Era la sua capacità di realizzare obiettivi quasi impossibili che conquistava gli adulti, anche i più smaliziati. Per i suoi ragazzi arrivò a conquistare il cuore e le risorse di benefattori che per pochi soldi regalarono al Patronato, chi una villa con un ampio parco e spiaggia al mare di Marina di Massa, chi i fondi per acquistare una casa in alta montagna al Passo Gavia, a 2652 metri. Per la sua integrità, il suo impegno, non solo cristiano, e la sua spiritualità seppe conquistare nel corso degli anni la fiducia di migliaia di ragazzi e ovviamente dei loro genitori, alcuni dei quali neppure credenti.
Don Eugenio e il Patronato furono il cuore pulsante dell’Isola, prima, durante e dopo la seconda guerra mondiale. Don Eugenio era un esempio per l’operosità e il riferimento per tutti, non solo per i suoi ragazzi.
L’anno 1968 – da cui siamo partiti per scrivere queste righe – vide oltre 700 iscritti all’oratorio. Per tutti c’era da fare, non si poteva stare con le mani in mano: la regola di don Eugenio prevedeva compiti e attività per i più grandicelli e grandi. C’era un’organizzazione chiara e precisa. Con l’aiuto di molti cooperatori laici, tutto funzionava, sia che si trattasse degli accoliti (chierichetti), sia dei contatti con i missionari legati al Patronato, sia della scuola di canto, sia delle attività sportive (basket, calcio e ping-pong). Anche il catechismo, obbligatorio la domenica pomeriggio, era organizzato dai catechisti in classi: si andava dai bambini della prima elementare in su, fino ai ragazzi delle superiori, curati direttamente don Eugenio. Tutto procedeva perché tutti si impegnavano concretamente, avendo di fronte un esempio trascinante.
Anche per le vacanze si può parlare di un’ottima organizzazione: i più piccoli, fino alla prima media, frequentavano la colonia di Marina di Massa con due turni estivi, luglio e agosto, che arrivavano a ospitare complessivamente 140 bambini. I più grandi, a partire dalla seconda media, potevano frequentare la casa del Gavia. Don Eugenio era un grande appassionato della montagna, la considerava una valida e importante scuola di vita. Così era anche per tutti noi, nell’impegno, nella fatica, nella gioia di raggiungere mète spesso difficili, ma che alla fine ci gratificavano per il risultato ottenuto.
Nel corso degli anni Settanta don Eugenio andò sempre più maturando il progetto di allestire un oratorio femminile, per venire incontro alle esigenze e alle richieste che sempre più venivano avanzate nel quartiere. Era contrario a un oratorio misto e nel quartiere non vi erano spazi liberi o a costi contenuti per un progetto importante destinato solo alle ragazze. Incominciò comunque a porre le basi per raggiungere questo obiettivo. Iniziò con la preparazione anche per le bambine alla Prima Comunione; sempre per le più piccole organizzò nuovi turni nella colonia di Marina di Massa, e così fece anche per la casa al Gavia con turni solo per le ragazze. L’oratorio femminile vide la luce alla fine del 1977, ma don Eugenio non poté inaugurarlo perché la morte lo colse improvvisamente alcuni mesi prima, il 29 gennaio.
Tutta l’Isola, tutti i ragazzi dell’Oratorio, tutti gli ex allievi parteciparono al suo funerale. Tutti ricordando gli episodi che lo avevano visto vicino a loro. Tutti ricordando un sacerdote che per spiritualità, integrità, impegno era sempre stato il loro, il nostro esempio. Qualche anno dopo le parole del cardinale Carlo Maria Martini – «quando uomini così grandi ci passano accanto non possiamo più vivere come se ciò non fosse accaduto: essi sono un dono e un richiamo all’imitazione e al dono di noi stessi per il bene dei fratelli» – non furono né di prammatica, né generose nel doveroso ricordo di un buon sacerdote defunto, ma diedero voce a ciò che noi, suoi ragazzi prima, cooperatori dopo ed ex allievi infine, abbiamo sempre pensato, saputo e vissuto.
Leggi anche