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Il 21 giugno il cardinale Montini succedeva a papa Giovanni XIII, il quale a pochi mesi dalla sua elezione, il 25 gennaio 1959, aveva annunciato a sorpresa il Concilio Vaticano II. Cosa pensava il card. Montini nel momento di assumere le chiavi di Pietro? Quale sentimenti attraversavano il suo cuore nel momento di succedere al Papa buono? di Franco Giulio Brambilla

Paolo VI, il Concilio Vaticano II e la primavera della Chiesa

4950 - per_appuntamenti Redazione Diocesi

23 Novembre 2009

Il 21 giugno Il cardinale Montini succedeva a Papa Giovanni XXIII, il quale a pochi mesi dalla sua elezione, il 25 gennaio 1959, aveva annunciato a sorpresa il Concilio Vaticano II. Dopo una preparazione durata oltre due anni Papa Giovanni aveva dato inizio al Concilio l’11 ottobre con il discorso Gaudet Mater Ecclesia. La Chiesa doveva presentare al mondo la fede di sempre con un linguaggio adatto all’uomo moderno. Il primo periodo conciliare si era chiuso senza molti successi, anche se Papa Giovanni aveva favorito che i Padri si esprimessero con libertà. Un numero impres-sionante di documenti (72 testi) erano stati consegnati in aula ai Padri. Tanto che alcuni cardinali (Suenens, Döpfner, Léger, Bea, Montini, Siri, Lercaro) avevano pensato di redigere un programma del Concilio. Tuttavia verso la fine di novembre del 1962 si seppe che il Papa era affetto da una malattia incurabile. Gli stessi cardi-nali nei primi giorni di dicembre erano intervenuti per far trovare un “programma” all’assise conciliare prima di chiudere il Primo Periodo. Papa Giovanni moriva il 3 giugno con una morte santa che aveva raccolto il mondo nella piazza di S. Pietro. Cosa pensava il card. Montini nel momento di assumere le chiavi di Pietro? Quale sentimenti attraversavano il suo cuore nel momento di succedere al Papa buono? Due testi potrebbero dirci con sicurezza qual era il disegno che Paolo VI portava con sé salendo alla cattedra di Pietro. Prima di tutto, il discorso del 5 di-cembre del 1962, passato alla storia col titolo: “Chiesa che dici di te stessa?”, quando in aula conciliare il Cardinale di Milano proclamava davanti ad un’assemblea attentissima quelle parole che facevano intravedere l’animo del futu-ro pontefice: «Che cos’è la chiesa? Che cosa fa la chiesa? Questi sono come i due cardini attorno a cui devono disporsi tutte le questioni di questo Concilio. Il mistero della Chiesa e il compito ad essa affidato e che essa deve eseguire: ecco l’argomento a cui deve interessarsi il Concilio! Tutti, infatti, chiedono che la chiesa, chia-ramente e consapevolmente, proclami la sua natura, il compito eterno ad essa affi-dato e la sua azione propria nel tempo odierno». Un altro testo esprime meglio l’animo del Pontefice al momento di assumere la speranza del Concilio. Si tratta di una lettera che egli aveva inviato il 18 ottobre 1962, nella turbolenta settimana dell’inizio del Concilio, al card. Cicognani, Segre-tario di Stato. Era una lettera ufficiale che doveva rimane riservata. Lì si sente vi-brare il più autentico spirito di Paolo VI. L’ha fatta conoscere nel 1983 il card. Suenens ed è ancora sconosciuta ai più. Il cardinale di Milano iniziava con grande slancio: «Mi permetto di richiamare la Sua considerazione sul fatto, che a me e ad altri Padri del Concilio sembra molto grave, della mancata, o almeno della non an-nunciata esistenza d’un disegno organico, ideale e logico, del Concilio […]. Questo è pericoloso per l’esito del Concilio; questo ne diminuisce il significato; questo gli fa perdere dinanzi al mondo quella forza ideale e quella comprensibilità, da cui molto può dipendere della sua efficacia. Il materiale preparato sembra non assume-re architettura armonica ed unitaria e non assurgere al fastigio di faro sul tempo e sul mondo». E poi con grande passione e lucidità Montini articolava il piano del Concilio in sette punti che sono quasi una profezia dello svolgimento futuro dell’assise vaticana. Colpisce il fatto che il futuro Pontefice disegni con una preci-sione impressionante non solo il tema del Concilio, ma persino le sue fasi. Subito all’inizio afferma con chiarezza: «Il Concilio deve essere polarizzato intorno ad un solo tema: la santa Chiesa». Il futuro Papa voleva che la Chiesa fosse del tutto rivolta a Cristo. La lettera continua indirizzando lo sguardo a Cristo: «Allora il Concilio deve cominciare con un pensiero a Gesù Cristo, nostro Signore. Egli deve apparire come il principio del-la Chiesa, che ne è l’emanazione e la continuazione. L’immagine di Gesù Cristo, come il Pantocratore delle Basiliche antiche deve dominare la sua chiesa riunita d’intorno e dinanzi a Lui». Poi il Concilio deve concentrarsi sul «mistero della Chiesa», per elaborare le dottrine su se stesso, su l’episcopato, sui sacerdoti, sui re-ligiosi, sui laici, sulle varie espressioni della vita ecclesiastica, le età della vita, la gioventù, le donne. Alla fine concludeva: «Una terza sessione sarà necessaria, ri-guardante le relazioni della chiesa con il mondo ch’è intorno, fuori e lontano da lei. E cioè: le relazioni con i fratelli separati; le relazioni con la società civile; le rela-zioni con il mondo della cultura, della scienza; le relazioni con il mondo del lavoro, dell’economia; le relazioni con le altre religioni». Quando Paolo VI, il 21 giugno, assunse l’eredità di Papa Giovanni, certa-mente avrà ripensato a quella lettera – di pochi mesi prima – in cui tratteggiava la strada del Concilio. La primavera del Concilio che Papa Giovanni aveva annuncia-to ora trovava un sicuro interprete che l’avrebbe condotta a piena maturazione.
Franco Giulio Brambilla