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Sirio 09 - 15 dicembre 2024
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La storia

«Noi, Chiara e quel male oscuro»

Una bimba adottata inizia a crescere regolarmente, poi manifesta deficit cognitivi e comunicativi causati da una rara sindrome. Ora ha 12 anni e affronta le sue difficoltà relazionali sostenuta dalla forza della famiglia e circondata dall'affetto di amici e comunità. I genitori: «Non siamo soli e non ci sentiamo tristi»

di Luisa Bove

9 Maggio 2022
Chiara tra mamma e papà

«Chiara è l’unica figlia che abbiamo. Volevamo 5 figli, ma il Signore ce ne ha data una che vale per tutti», esordisce Vera Carofiglio, che racconta mentre il marito Andrea le è accanto. I coniugi porteranno la loro testimonianza in un video che verrà trasmesso durante la festa del 18 giugno in piazza Duomo (leggi qui la presentazione).
«Chiara ha 12 anni – spiega Vera -, l’abbiamo adottata quando aveva solo 28 giorni, dopo 6 anni di matrimonio». Era molto piccola, nata prematura alla 28esima settimana di gestazione e pesava poco più di un chilo.

All’uscita dall’ospedale ha iniziato a stare meglio, recuperando perfettamente: durante la crescita non stava mai ferma, aveva tanta energia in corpo, tanto che mamma e papà la chiamavano «Duracell». Fino a 2 anni Chiara ha avuto uno sviluppo armonioso, accompagnato dalle visite periodiche alla Mangiagalli. Poi i genitori hanno iniziato a notare qualche difficoltà di comprensione: Chiara aveva iniziato a parlare, ma regrediva nel linguaggio e sembrava non sentire. Appurato che non c’era sordità, la bimba è stata sottoposta a una visita neuropsichiatrica e a diversi test, in base ai quali i medici hanno accertato un leggero ritardo cognitivo e difficoltà soprattutto del linguaggio e della memoria.

La diagnosi

Nonostante alcune sedute con psicologi e psicoterapeuti, «non si capiva che cosa avesse Chiara – dice ancora la madre -: si è parlato di un disturbo dell’attaccamento fino a quello dello spettro autistico. Quando ha compiuto 9 anni la terapista non era ancora convinta di quest’ultima diagnosi». Aveva ragione: finalmente si è scoperto che Chiara era affetta da sindrome feto-alcolica (Fetal alcohol syndrome), dovuta alla trasmissione alla nascitura di alcol assunto dalla madre naturale durante la gravidanza. «Trovare la diagnosi esatta è stato difficilissimo – assicura Eva -, ci sono voluti quasi due anni perché in Italia il Fasd (Fetal alcohol spectrum disorders), molto simile all’autismo, non è un disturbo conosciuto».

Chiara è una bambina molto sensibile e intelligente. Dagli ultimi test non risulta un ritardo cognitivo, piuttosto non riesce a rispondere come dovrebbe e crescendo le difficoltà relazionali sono aumentate. «Dopo il lockdown non è più riuscita a tornare in classe, l’abbiamo ritirata dalla prima media perché non riusciva a stare a scuola più di due ore – continua la madre -. Quest’anno abbiamo cambiato istituto, dove rimane tre ore al giorno, ma in una aula tutta per lei e solo adesso inizia ad avere piccole relazioni con qualche compagno che la raggiunge per fare i compiti insieme. Purtroppo la dimensione relazionale è molto compromessa e il lockdown l’ha rovinata, perché non potendo stare con gli altri è come se avesse disimparato a vivere le relazioni». Ora sono subentrati anche disturbi psichiatrici: «Chiara gestisce poco la frustrazione e le crisi d’ansia la rendono molto aggressiva, quindi ha paura di non riuscire a controllarsi e di fare del male ai compagni. Eppure avrebbe bisogno di stare con gli altri, per questo stiamo cercando di inserirla in un centro socio-educativo».

La verità sull’adozione

La sua diagnosi è riconosciuta dall’Oms, ma in Italia non sono in grado di trattarla. In questo momento si sta sottoponendo a terapie sul trauma, molto simili a quelle che ricevono i ragazzi autistici, perché per lei non esiste nulla di specifico. «E poi c’è l’adolescenza con tutte le sue problematiche – spiega Vera -, e la questione dell’adozione, perché a quest’età tutti i ragazzi adottati iniziano a non accettare la propria storia, faticano a relazionarsi con la famiglia adottiva e cercano quella biologica».

Chiara sa di essere stata adottata, è sempre stata una bambina che poneva tante domande e i suoi genitori non le hanno mai nascosto la verità. L’abbandono è molto difficile da metabolizzare, specie con le sue difficoltà di linguaggio e di memoria. «Ma noi non siamo tristi, ci tengo a dirlo. Siamo affaticati, ma non siamo soli: abbiamo tanti amici e una nonna che ci aiuta. E poi c’è la nostra comunità dell’oratorio ai Quattro Evangelisti, io e Andrea ci siamo conosciuti lì e siamo rimasti a vivere in zona dopo il matrimonio. Qui ci sentiamo a casa. Non ci sentiamo schiacciati da ciò che stiamo vivendo e Chiara ci aiuta a mantenere vivo il rapporto con il Signore che l’ha voluta così. Certo, ci arrabbiamo perché stare di fronte alle sue difficoltà non è semplice, ma non ci siamo mai disperati, chiediamo molto aiuto agli altri. E l’aiuto arriva».

Come prevenire

La diagnosi del Fasd (Fetal alcohol spectrum disorders) non è facile. Si è scoperto che le regioni italiane che contano il maggior numero di casi sono Veneto, Lazio e Reggio Emilia, dove si registra un alto consumo di alcol. «Ci sono tante famiglie che hanno adottato bambini nelle regioni dell’Est, che brancolano nel buio perché non riescono ad avere una diagnosi», spiega Vera. Per questo l’associazione Aidefad, con la quale collabora attivamente, cerca di fare prevenzione dicendo alle donne di non assumere bevande alcoliche durante la gravidanza, perché possono influire sul feto. «Cerchiamo di far conoscere questo disturbo e di aiutare chi ha bisogno, segnalando anche i professionisti cui rivolgersi per ottenere una diagnosi e ricevere terapie più mirate».