«Un’esperienza spirituale cristiana veicolata e propiziata dalle parole di Gesù, dalla musica, dal silenzio». Questo l’auspicio con cui l’Arcivescovo ha aperto la serata presso la chiesa di San Marco, che ha visto l’esecuzione della splendida composizione di Franz Joseph Haydn Sopra le 7 parole del nostro Redentore in Croce.
Eseguita dal “Quartetto Indaco” – giovane, ma già affermato, ensemble d’archi italiano -, la composizione è stata intervallata dalla lettura di alcuni brani meditativi (letti da Marco Bertini) tratti dagli scritti, tra gli altri, di don Lorenzo Milani, José Saramago, Ugo Foscolo, Marguerite Yourcenar. «Una serata di meditazione», come l’ha definita nel suo saluto di benvenuto monsignor Gianni Zappa, responsabile della Comunità pastorale San Paolo VI, presenti anche altri sacerdoti della Cp, tra i quali don Giuseppe Grampa, don Paolo Alliata e don Luigi Garbini, musicologo, autore di un’interessante riflessione su «Musica e tempo liturgico», proposta nel libretto offerto ai molti spettatori presenti in San Marco. Accolti nel silenzio in uno spazio sacro più che mai adatto quale cornice per l’evento, grazie all’acustica perfetta (vi suonò anche il giovane Mozart) e reso ancor più suggestivo, nel buio circostante, dalle sole luci che hanno illuminato il Quartetto, posto al centro della navata centrale. Insomma, un momento di cultura e di fede, vissuto sulla bellezza di note immortali alla vigilia del Triduo pasquale, appunto come quell’esperienza dello spirito da cui si è avviata la riflessione dell’Arcivescovo.
La riflessione dell’Arcivescovo
«Evidentemente, assistere e ascoltare a un’opera d’arte, come questa composizione di Haydn, può essere vissuta in tanti modi: come una forma di esperienza comunitaria, a cui si partecipa viene perché si sente un’appartenenza, un’amicizia o può essere un’esperienza estetica, il compiacimento per quell’emozione che la musica, le parole, l’evocazione della Passione del Signore, hanno nella storia dell’arte. Può essere anche un’esperienza di valutazione critica per interpretare la qualità dell’esecuzione». Dunque, seppure, ciascuno ha scelto di prendere parte alla serata «con attese e con un’attitudine diversa dagli altri», ciò che rimane fondamentale, in occasioni simili, è l’esperienza spirituale che se ne può trarre, interpretando correttamente il significato della spiritualità, suggerisce l’Arcivescovo.
La spiritualità cristiana
«La parola “spirituale”, “spiritualità” è diventata consueta, è quasi un luogo comune, viene intesa perlopiù come una disciplina per il benessere spirituale, come una sorta di fitness dell’anima, al fine di porre rimedio a momenti di ansia, a complessi, a stati depressivi, un modo per dimenticare, superare o sublimare quello che inquieta, che angoscia, che rende tristi». Così la spiritualità diviene un’arte per stare bene con se stessi: ben altra, evidentemente, la concezione cristiana.
«Un’esperienza spirituale, per un cristiano, non è un modo per riconciliarsi con la propria situazione, per accettare il malessere, cercando di esorcizzare la sofferenza. Per un cristiano l’esperienza spirituale è intrinsecamente un’esperienza relazionale. Mentre nella società individualistica la spiritualità è in funzione dell’individuo, nella visione cristiana delle cose la spiritualità è una forma di comunione, è un rapporto».
Da qui l’augurio di vivere «un’esperienza spirituale in rapporto con Gesù, le cui parole illuminano, commuovono, chiamano a conversione. Ecco cosa vi auguro: un’esperienza di relazione, d’incontro. Questo Gesù, che in questi prossimi giorni siamo chiamati a seguire nel compimento della sua missione, interpella e sollecita una risposta. L’esperienza spirituale è ascolto di quello che Gesù dice, vive, soffre. Le sue parole in croce contengono un dialogo con il Padre. Noi facciamo un’esperienza spirituale se entriamo in rapporto con Gesù e con Lui impariamo a pregare, a rivolgerci a Dio, con il sospiro dello strazio e con le parole dei Salmi: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”».