Il lungo cammino che non porta a un «punto di arrivo, ma a un nuovo inizio, a una vita liberata dal peccato». Il cammino compiuto dai 10 catecumeni, che ricevono i sacramenti dell’iniziazione cristiana in Duomo, è quello anche di 2000 anni fa, delle donne di Israele che «giungono alla tomba perplesse e sgomente». Quello di tutti noi che «abbiamo attraversato tempi e tragedie sconcertanti, che siamo stati messi alla prova, sperimentando solitudini e desolazione, eroismi e depressioni, carità generosa ed egoismi meschini», ma che pure abbiamo visto la risurrezione, il «sepolcro vuoto in cui si deve entrare per uscire a vita nuova, destinatari di una rivelazione e di una missione».
Le parole dell’Arcivescovo che risuonano in una Cattedrale finalmente tornata alla normalità nella Veglia nella Pasqua di Risurrezione del Signore, madre di tutte le Sante veglie come la definì sant’Agostino da lui presieduta e concelebrata dai Canonici del Capitolo metropolitano, sono il simbolo di una Chiesa viva, capace di correre, di andare lontano, di essere germoglio di novità e della luce esemplificata con l’accensione del cero pasquale. La “colonna di fuoco che risplenderà nella notte”, preparato dalle Clarisse del monastero Santa Chiara, presenti nel quartiere Gorla di Milano dal 1944, in un luogo insanguinato dalle piccole vittime di una scuola allora centrata dalle bombe. Bambini fratelli lontani dei loro coetanei che muoiono ogni giorno nella guerra insensata di oggi. Un cero che, nella sua decorazione, descrive emblematicamente alcuni temi della Veglia, l’Agnello dell’alleanza mosaica, il “Chrismon di sant’ Ambrogio – intrecciante la croce con il nome del Cristo nel quale abbiamo la nuova ed eterna alleanza – e il serto di ulivo che, germogliando da una colomba, si snoda a invocare nel Signore un dono di alleanza e di pace per i popoli d’Europa e per tutta l’umanità. Pace in un mondo segnato dalla guerra in tante parti del mondo e adesso anche nel cuore dell’Europa, con le armi che non tacciono nemmeno nella notte santa della risurrezione, vissuta in Duomo, tra i molti fedeli, da persone provenienti dalle città ucraine martoriate nella Veglia e a cui assiste anche padre Ambrogio Makar, archimandrita del Patriarcato di Mosca.
La Veglia
Lo splendido Preconio pasquale, solenne e tipico ambrosiano, risalente alla fine del V secolo-inizio del VI, che risuona in latino tra le navate, è cantato in latino dal diacono, quale sintesi poetica dell’intera storia della salvezza. Nel Duomo prima in ombra, si accendono le luci e guidati dalla straordinaria ricchezza della Parola di Dio, attraverso 9 Letture – 6 dai Libri sacri di Israele – si contempla il miracolo della perenne novità del Signore, prefigurata nel primo Testamento.
Poi, finalmente, il triplice annuncio della Risurrezione, “Christus Dominus resurrexit” peculiare del Rito ambrosiano e in tutto simile al “Cristos Anesti” della liturgia bizantina nella Pasqua ortodossa, proclamato, con voce crescente, dall’Arcivescovo ai tre lati dell’altare maggiore della Cattedrale. Le campane, in silenzio dalla Celebrazione della Passione del Signore del Venerdì santo, si sciolgono e torna l’atteso canto dell’Alleluia, assente dalla prima Domenica di Quaresima, prima dell’omelia del vescovo Mario che evoca, appunto, il lungo cammino delle figlie di Israele arrivate al sepolcro e delle guardie che lo custodiscono.
L’omelia
«Da quale paese siete venuti fin qui, uomini armati pronti per uccidere e respingere ogni nemico dell’imperatore? Da quali esperienza di violenza e di solitudine siete venuti fino a questo paese irrequieto ed enigmatico, Israele? In quali storie di ferite inferte e subite, in quante morti siete stati implicati? Siete venuti da chi sa dove, certi dell’unica certezza indiscutibile, convinti dell’unica sapienza su cui tutti sono d’accordo e cioè che un morto è morto. Diranno solo menzogne perché l’umanità continui a essere certa della disperazione e a negare la vittoria del risorto sulla morte e la speranza invincibile». Un cammino opposto, invece, quello fatto dai catecumeni ambrosiani 2022 – su 10, 9 sono giovani donne – a cui l’Arcivescovo conferisce il battesimo presso l’altare carolino, all’ingresso del Duomo.
«Anche voi, fratelli e sorelle catecumeni, pronti e desiderosi di ricevere il battesimo avete fatto un lungo cammino per giungere fin qui. Siete venuti da paesi lontani in cui il nome di Gesù è forse ignorato o disprezzato. Siete venuti da storie complicate e dallo stupore di grazie inattese, da storie d’amore e di inquietudine, ma portate con voi un fuoco che si è acceso».
«Voi donne di Israele riconoscete che come aveva detto così ha fatto: è risorto e ha compiuto le promesse antiche e ha celebrato la nuova alleanza. Voi fratelli e sorelle che ricevete il battesimo siete giunti fin qui, non come a un punto di arrivo, ma come a un nuovo inizio, una vita liberata dal peccato, rivestita della luce di Cristo, abitata dalla grazia dello Spirito Santo. Da questa veglia solenne uscirete capaci di vegliare in preghiera nella santa Chiesa di Dio, andrete a visitare le vostre storie e i vostri paesi per dire: è risorto come aveva detto seminare speranza. Da questa iniziazione alla vita cristiana riceverete la grazia di essere sale, luce e lievito per una umanità rinnovata, riconciliata, fiduciosa nella sua vocazione a essere fraternità universale. E noi tutti che abbiamo compiuto un lungo, accidentato cammino per giungere fin qui, saremo vivi della vita di figli di Dio, incoraggiati dalla testimonianza dei neofiti a vivere nella gioia, nella coerenza, nella dedizione per il compimento della nostra vocazione».
(Leggi il testo integrale) (Il video dell’omelia) (Alcuni momenti del battesimo ai catecumeni)
E, a conclusione del rito, ancora un auspicio da parte dell’Arcivescovo che ringrazia chi ha accompagnato nel loro percorso i catecumeni, 65 in totale che ricevono il battesimo nelle veglie pasquali celebrate in ogni zona della Diocesi. «Questo lungo cammino non è un punto di arrivo», ma la consegna che dice a tutti «andate, annunciate che Gesù è risorto, aiutate la Chiesa a essere giovane e missionaria».