Don Giovanni Salatino è da sempre in prima linea per l’accoglienza, tanto che il Comune di Milano lo ha chiamato appena due giorni dopo lo scoppio della guerra, ormai quasi un mese fa, per avere da lui le prime notizie sulle persone in arrivo. E tanto che, anche in questa emergenza, appena risponde al telefono ci tiene a spronare la Caritas perché si faccia di più proprio per tutti i migranti, pensando soprattutto agli invisibili che sono in città, scappati da guerre dimenticate e che non rientrano in nessuna “grande emergenza”.
Per dare una risposta agli arrivi di questi giorni l’idea è stata quella di partire dal territorio, dalle disponibilità ad accogliere raccolte nel quartiere di Gratosoglio. La “Rete Territoriale Sud Milano”, in cui le parrocchie del quartiere hanno unito le forze con altre associazioni non ecclesiali, ospita finora 13 famiglie ucraine. Intanto una rete di avvocati, medici, psicologi si alterna per aiutare chi arriva, ma anche per accompagnare le famiglie che aprono le loro porte. «Ci siamo dati un protocollo, la primissima accoglienza avviene sempre con un medico, un avvocato e un traduttore – chiarisce don Salatino -. E poi non sarebbe stato corretto affidarli semplicemente alle famiglie ospitanti».
Guardare avanti
Il piccolo hub per questi primi colloqui è l’oratorio di San Barnaba, dove «è una soddisfazione vedere la disponibilità e l’attenzione che i giovani riescono a dare, senza troppe sovrastrutture», gioisce don Salatino. Che però guarda già avanti, oltre a queste prime settimane. Perché, avverte, «non potremo mettere in croce le famiglie che già sono state disponibili ad accogliere in questi primi mesi». L’idea è quindi quella di censire già da ora appartamenti che potranno essere messi a disposizione, anche con un canone molto calmierato.
Nel frattempo, solo due delle famiglie che sono arrivate hanno fatto richiesta di permesso di soggiorno per protezione umanitaria. Gli altri, spiega don Salatino, preferiscono aspettare, sperando di poter tornare in Ucraina.