«Chiunque possa aiutare a fermare questo terribile spargimento di sangue deve farlo. È un obbligo morale»: così al Sir l’ambasciatore di Israele presso la Santa Sede, Raphael Schutz, commenta il tentativo di mediazione del primo ministro israeliano Naftali Bennett che sabato scorso ha incontrato a Mosca Vladimir Putin. Una visita che si è caricata di ulteriore significato in quanto si è svolta durante lo shabbat, il sabato ebraico, giorno in cui gli ebrei si astengono dal lavoro. A meno che infrangerlo non serva a salvare vite umane. Come nel caso di una mediazione tra Kiev e Mosca.
Al colloquio con Putin, durato tre ore, è seguito poi il trasferimento di Bennet a Berlino per parlare con il cancelliere Olaf Scholz e tutta una serie di telefonate, con il presidente ucraino Zelensky e con i principali capi di governo. Poco trapela del contenuto dei colloqui. Bennet tiene, per ora, un profilo discreto necessario a tenere vivo il filo dei contatti. «Il Papa – sottolinea Schutz – non ha risparmiato sforzi in questa situazione: attraverso preghiere, appelli accorati e gesti non “convenzionali”, come andare a bussare alla porta dell’ambasciata russa presso la Santa Sede».
«Tempi eccezionali richiedono misure eccezionali – chiosa l’ambasciatore che inserisce l’attivismo diplomatico israeliano in questa linea -. Ribadisco che tutti dovrebbero fare il possibile per salvare vite umane. In Israele abbiamo comunità di origine sia ucraina sia russa che convivono fianco a fianco. Questo è uno stimolo per aiutare a trovare una via di negoziazione tra questi due popoli».
Sforzo diplomatico
La diplomazia israeliana non si ferma e in questo ambito si deve registrare l’incontro, a Roma, tra l’ambasciatore Schutz e il suo omologo ucraino Yurash Andrii. «È stato un incontro significativo e un’opportunità per esprimere solidarietà al coraggioso popolo ucraino, che sta affrontando un dolore e una sofferenza scioccanti», il commento dell’ambasciata israeliana affidato a un tweet.
Intensa è anche l’attività umanitaria di Israele verso i profughi ucraini. Secondo quanto riportato dal Ministero degli Esteri di Israele «i diplomatici israeliani presenti ai confini ucraini lavorano 24 ore su 24 per assistere i profughi israeliani dall’Ucraina sulla via del ritorno in Israele. Ai confini rumeni, polacchi, ungheresi squadre di diplomatici stanno fornendo assistenza agli ebrei in fuga dall’Ucraina, consegnando coperte, vestiti, cibi caldi, e borse termiche. Con i funzionari di valico si appronta la documentazione necessaria per l’eventuale ingresso in Israele».
Le comunità russofone in Israele
Chi segue con sguardo altamente preoccupato, ma anche con grande speranza quanto sta avvenendo in Ucraina, sono le due comunità cattoliche di espressione russa che vivono in Israele e che fanno capo al Vicariato “San Giacomo” per i cattolici di lingua ebraica del Patriarcato latino di Gerusalemme.
Israele è l’unico paese russofono fuori dei confini dell’ex Unione Sovietica. Al suo interno ci sono 1,5 milioni di ebrei arrivati dalla Russia e dall’Ucraina. Nascono anche da qui i rapporti molto solidi di Israele con Zelensky, che è ebreo, e soprattutto con Putin. In Ucraina, che è uno dei primi partner di Israele, vi abitano 200 mila ebrei. La mancata adozione di forti sanzioni da parte di Israele contro la Russia va letta anche in questa direzione: Israele sarebbe interessato a far arrivare ebrei ucraini nel Paese, anche se attraverso rigidi controlli. Di contro il Governo israeliano non ha voluto fornire armi e sistemi di difesa missilistica all’Ucraina, ma solo ospedali da campo e aiuti umanitari.
A raccontare al Sir i sentimenti di queste due comunità è il Vicario episcopale per la comunità cattolica di lingua ebraica in Israele è don Piotr Zelazko, sacerdote di origini polacche, in Israele dal 2005. «Sono giorni difficili – dice – per le nostre due comunità, una che vive a nord di Israele, composta da 120 persone, e l’altra nel sud di 60 fedeli. Entrambi hanno al loro interno sia russi che ucraini e molte famiglie sono miste. Tutti sono uniti nella preghiera per chiedere la fine della violenza e il dono della pace».
Contatti con le famiglie
Dall’inizio dell’aggressione russa all’Ucraina i contatti con i familiari rimasti a casa sono continui. «È vero – aggiunge padre Piotr – sono lontani fisicamente dai parenti e dagli amici ma vicini spiritualmente e materialmente. Molti dei nostri fedeli ci raccontano che i loro familiari e amici in Ucraina si lamentano che non possono uscire dall’Ucraina perché bloccati dai combattimenti e piangono. La preghiera è il nostro strumento per intercedere». La vicinanza è resa ancor più visibile con l’esposizione in alcune case e chiese della bandiera ucraina. Le comunità hanno anche organizzato lo scorso fine settimana una raccolta di denaro per i profughi ucraini.
Goccia di pace
«Abbiamo fatto nostre le parole di Papa Francesco, all’Angelus del 6 marzo scorso, – afferma don Piotr -. Il Pontefice ha ricordato che in Ucraina “scorrono fiumi di sangue e di lacrime. Non si tratta solo di una operazione militare ma di guerra che semina morte, distruzione e miseria. Le vittime sono sempre più numerose, così come le persone in fuga, specialmente mamme e bambini”. Per questo vogliamo farci trovare pronti per una eventuale accoglienza di profughi. Fino ad ora non abbiamo avuto nessuna indicazione dal nostro Governo. Nel caso servisse saremo i primi ad aprire le porte delle nostre strutture e abitazioni».
«Sappiamo – dichiara il vicario – quanto sta avvenendo nei Paesi europei, come la Polonia, dove stanno accogliendo i profughi ucraini. È una bella testimonianza e un esempio da seguire. Aprire i cuori e aprire le case è diventata una sorta di parola d’ordine per tante persone. La gente segue ciò che accade in Ucraina, analizza e si muove di conseguenza, assistiamo a un risveglio delle coscienze».
Riguardo alla mediazione del premier Bennet, don Piotr spiega che «c’è speranza tra gli israeliani russofoni per il tentativo israeliano di mediare tra Mosca e Kiev. Speriamo che Bennet riesca a fare dialogare le due parti in lotta. Nessuno sa in che modo questo potrà avvenire ma confidiamo nella capacità di dialogo del Primo Ministro. La mediazione di Israele è comunque una goccia di pace. Le gocce formano i fiumi. E nel salmo si legge che la pace è come un fiume».