«Intorno a don Giussani ha preso forma un movimento, i numeri si sono moltiplicati, le opere e le parole hanno generato opere e parole. Ma il movimento potrà dire una parola a questo mondo e a questo tempo se, nella comunione ecclesiale, contribuirà a conservare la trasparenza dell’opera di Dio». Nei giorni dell’anniversario della morte del servo di Dio monsignor Luigi Giussani (22 febbraio 2005), nell’anno del centenario della nascita (15 ottobre 1922) e nel 40esimo del riconoscimento pontificio della Fraternità di Comunione e Liberazione, in Duomo l’Arcivescovo presiede la celebrazione eucaristica di ricordo, presenti autorità e tanti esponenti e aderenti al movimento di Cl.
Concelebrano la Messa tre vescovi: l’ausiliare di Milano monsignor Paolo Martinelli, l’emerito di Reggio Emilia monsignor Massimo Camisasca, l’assistente ecclesiastico generale dell’Università Cattolica monsignor Claudio Giuliodori. Molti i sacerdoti, tra cui don Julián Carrón, successore per molti anni di Giussani alla guida della Fraternità, l’assistente ecclesiastico diocesano don Mario Garavaglia, il pari grado dell’Azione Cattolica don Cristiano Passoni, monsignor Bruno Marinoni (moderator Curiae) e monsignor Luca Bressan (vicario episcopale). Presenti, in prima fila, il sindaco di Milano Beppe Sala con la vicesindaco Anna Scavuzzo, il presidente di Regione Lombardia Attilio Fontana, i parenti di don Giussani – il fratello Gaetano e i nipoti – e il presidente ad interim della Fraternità Davide Prosperi.
Il messaggio del cardinale Scola
In apertura della Messa, la cui intenzione è offerta per le sofferenze dei popoli coinvolti dalla guerra e per chiedere la pace, l’Arcivescovo dà lettura del messaggio del cardinale Scola. che si unisce «nella preghiera e nell’affetto», ricordando «il dono che Don Giussani ha lasciato in particolare al movimento di Comunione Liberazione e ad altre realtà che da lui hanno avuto origine». Dono «che rappresenta una risorsa di grande valore a beneficio della Chiesa e dell’umanità tutta e che invita a invocare la grazia di un personale salto di qualità nella vita di fede», perché «di questo ha bisogno, in modo particolare, l’umanità smarrita di oggi».
Il ringraziamento di Prosperi
Di ringraziamento parla anche Prosperi, che porge il saluto iniziale, richiamando le tante celebrazioni che in tutti i continenti, in questi giorni, si stanno svolgendo per «don Gius», che tuttavia fu sempre radicato in terra lombarda: «Una grande parte dei membri del movimento, che pure è ormai diffuso in tutto il mondo, sono figli della Chiesa di Milano e partecipano attivamente alla sua vita. Indubbiamente, come ogni storia umana, anche l’impegno del movimento è stato segnato dai limiti del nostro peccato: sentiamo bene, pertanto, che la grandezza della nostra storia non sta innanzitutto nelle nostre imprese. Ci presentiamo qui senza nascondere le nostre ferite e fatiche e mi riferisco, in modo particolare, a questa nostra comunità milanese e lombarda. Molti sono stati colti di sorpresa dalle decisioni della Santa Sede che hanno toccato prima i Memores Domini e poi la Fraternità. Non possiamo nascondere – prosegue – che tra noi ci siano tensioni, giudizi discordi sul nostro recente passato, atteggiamenti diversi nei confronti dell’intervento del Santo Padre. Questa nostra stessa Chiesa ci chiede oggi con forza una nuova tappa di maturità e noi desideriamo rispondere con cordialità e affetto: obbedire a Cristo significa obbedire alla Chiesa, per questo chiediamo il suo aiuto e la sua cura paterna», conclude il presidente ad interim, sottolineando il momento delicato che sta vivendo Cl e rivolgendosi direttamente all’Arcivescovo, la cui omelia pare un’immediata risposta.
Una missione da vivere con slancio
«Per molti don Giussani è stato l’angelo di Dio, un angelo irruente, capace di tenerezza e insieme ruvido, forse non ineccepibile nel tratto e nel linguaggio, nella relazione e nelle scelte, ma un angelo che ha portato l’annuncio e convinto molti ad appassionarsi del fatto cristiano. Ecco quello che abbiamo da dire in questo mondo confuso, scoraggiato, seduto: viene l’angelo di Dio e può cominciare una storia nuova. La vocazione non è mai un fatto privato, non si riduce a indicare la strada su cui si può camminare. È sempre una convocazione, inserisce in un popolo, chiama a partecipare».
Da qui l’auspicio: «Ogni vicenda umana ospita lo slancio generoso, la meschinità, la compattezza delle stagioni dell’entusiasmo e gli attriti, le incomprensioni, le fatiche delle stagioni della tribolazione, le rivalità e i puntigli, i punti di vista diversi e gli affetti grati e lieti. Ogni esperienza umana è insieme gloriosa e stentata. Adesso però viene il tempo in cui la missione impone una urgenza che non si attardi sulle questioni interne, non si lasci trattenere dalle pastoie dei malintesi e dei risentimenti. C’è bisogno di uno slancio e di un servizio, di una libertà spirituale e della magnanimità».
Il contributo dei cristiani
Una richiesta – questa – che ovviamente riguarda tutti i cristiani, come scandisce l’Arcivescovo richiamando l’invito di San Paolo nella Lettera ai Romani: «Amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno».
«Che cosa avete da offrire a questo momento della storia, mentre si diffonde l’angoscia e lo sconcerto per la regressione dell’umanità alla violenza, alla babele, all’impossibilità di incontrarsi, di discutere, di comprendersi? Che cosa suggerite a questa nostra Europa così sapiente, così ricca di buoni sentimenti, così impotente? Che cosa avete da proporre mentre il sogno della pace viene ancora una volta infranto proprio qui dove il luogo comune vuole che ci sia la ragionevolezza, l’antica sapienza, il politicamente corretto, l’unione dei popoli per disegnare un futuro di fraternità? A che cosa pensate voi, discepoli di Gesù, in questo momento in cui il pensiero ossessivo ritorna al prezzo del gas, a interruzione di rapporti di affari, ai danni enormi, all’economia della prosperità? Avete qualcosa da proporre a questa città? Noi, discepoli di Gesù, come tutti viviamo momenti di smarrimento e di confusione, di sconcerto e di frustrazione, di preoccupazione per la nostra società e per il nostro sistema economico, ma siamo radunati per ascoltare la parola del Signore e fare memoria di un uomo, di un prete. La parola del Signore invita a meditare l’evento della annunciazione e la figura di don Giussani può essere offerta come un commento e una testimonianza dell’evento, così importante per l’umanità e irrilevante per la cronaca del suo tempo. Non abbiamo altro da dire che il Vangelo, il Vangelo della annunciazione. La storia nuova si chiama “la vocazione di Maria”».
Proprio perché «il nostro Dio per portare a compimento la sua promessa non interviene in modo clamoroso, il suo modo di abbattere i potenti dai troni e di esaltare gli umili non è la rivoluzione, ma la vocazione della serva del Signore, Maria, perché avvenga secondo la sua parola».
Il saluto finale di don Carrón
Infine è don Julián Carrón, presidente della Fraternità per 16 anni fino alle dimissioni rassegnate il 15 novembre 2021, a esprimere la propria gratitudine e a ricordare il radicamento di Giussani nella Chiesa ambrosiana, «avendo sentito ricordare più volte il suo amato Seminario di Venegono e i professori che gli avevano comunicato la tradizione, non come parola del passato, ma come evento presente, come “il bel giorno” dell’incontro con Cristo che rispondeva all’inquietudine del suo cuore. Quante volte ci ha fatto rivivere le grandi parole della liturgia testimoniandola con la sua stessa vita! Questa esperienza è l’eredità e la responsabilità a cui siamo chiamati davanti ai fratelli uomini».