«La guerra è impossibile nell’era atomica, occorre trovare altre soluzioni per dirimere le questioni che dividono i popoli: non c’è alternativa al negoziato globale». A ribadirlo, seguendo il tracciato del “realismo” di Giorgio La Pira, è stato il cardinale Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia-Città della Pieve e presidente della Cei, aprendo l’incontro dei vescovi e dei sindaci del Mediterraneo, promosso dalla Cei a Firenze (qui il sito ufficiale).
«In questo momento – ha denunciato il Cardinale – mentre soffiano inquietanti venti di guerra dall’Ucraina, gli Stati non sembrano avere la forza, a fronte dell’eventuale buona volontà dei loro leader, di superare il meccanismo strutturato dai rapporti di forza. Mai come oggi risuona alle nostre orecchie la lezione di La Pira sul ruolo delle città nel mondo per raggiungere la pace mondiale», ha fatto notare il presidente della Cei, secondo il quale «i nostri popoli, le nostre città e le nostre comunità religiose possono svolgere un ruolo straordinario: possono spingerli verso un orizzonte di pace e di fraternità».
Religioni fondamentali per il dialogo
«Gli eventi in Ucraina ci portano a ribadire che le prevaricazioni e i soprusi non devono essere tollerati – ha affermato il presidente del Consiglio, Mario Draghi -. Le autorità religiose svolgono un ruolo fondamentale nel costruire una cultura di dialogo e di ascolto tra culture e fedi diverse», l’omaggio del premier ai partecipanti all’incontro: «Oggi, come in passato, avvertiamo la necessità della vostra opera di bene, dell’educazione all’amore, che rappresenta l’essenza della fede. L’amore per sé stessi, senza cui viene meno il rispetto della dignità umana. L’amore per la propria cultura, che non ammette l’intolleranza, ma è stimolo alla curiosità. L’amore per la propria comunità, che si esprime nella solidarietà e la cura per gli altri».
Desiderio di carità e giutizia
«È realistico – si è chiesto Bassetti citando Salvatore Quasimodo, grande amico di La Pira – pensare che la pietra e la fionda possano essere ancora il metodo utilizzato per regolare la vita sul nostro pianeta, dopo che da circa 70 anni l’umanità intera è posta sotto la spada di Damocle di una potenziale ecatombe nucleare? È razionale pensare che le grandi sfide della pace e dell’integrazione siano gestite soltanto dagli Stati e non si sente il bisogno, invece, di ascoltare il grido di amore e carità espresso dalle diverse comunità religiose?», si è chiesto ancora il cardinale, sottoponendo i suoi interrogativi sia ai vescovi che ai sindaci. E infine: “al di là degli egoismi e degli individualismi presenti nelle nostre società, non c’è un desiderio di carità, pace e giustizia nel respiro profondo dei nostri popoli?».
«Il fatto di abitare nello stesso spazio mediterraneo e attingere alle medesime risorse deve generare necessariamente competizione e violenza? No, non è una necessità: è vero il contrario» ha osservato il Cardinale, secondo il quale «l’accresciuta interdipendenza dei popoli se ben guidata è una grande opportunità di crescita dell’umanità. L’attuale sistema internazionale non sembra aiutare la crescita e lo sviluppo integrale dei popoli del Mediterraneo. La cornice geopolitica nei quali essi sono inseriti influenza notevolmente la loro vita interna, lo sviluppo economico e non sempre favorisce il rispetto dei diritti umani. Sono ormai molte le crisi che coinvolgono il Mediterraneo: penso, per esempio, ad alcune aree dei Balcani, del Medio Oriente, del Maghreb e, per ultimo, al Mar Nero che è storicamente, culturalmente, politicamente e anche spiritualmente parte integrante del Mediterraneo. Le nostre Chiese mediterranee possono offrire energia spirituale e saggezza millenaria al contesto odierno del Mediterraneo. Questa la persuasione che deve animare i lavori di questi giorni», in modo da «trasformare la nonviolenza in prassi politica».
La sfida di Firenze
«Restituire alle nostre Chiese e alle nostre società il respiro mediterraneo; riscoprire l’anima autentica che ci accomuna da secoli; promuovere la ricostruzione di un luogo di dialogo e di pace». Così il presidente della Cei ha riassunto la “sfida” che i partecipanti alle cinque giornate fiorentine devono raccogliere. «Ciò che abbiamo avviato due anni fa a Bari – ha proseguito – è un’autentica missione di contemplazione e azione, come avrebbe detto Giorgio La Pira, che non deve essere blindata con progetti preconfezionati, perché il discernimento collegiale necessita di libertà e di fraternità. Bisogna capire – come diceva don Tonino Bello – che la speranza è parente stretta del realismo. È la tensione di chi, incamminandosi su una strada, ne ha già percorso un tratto e orienta i suoi passi, con amore e trepidazione, verso il traguardo non ancora raggiunto. Quello che abbiamo avviato è, dunque, un processo. Che non sappiamo come proseguirà e neanche quando finirà».
Destinatari privilegiati
«I nostri fratelli schiacciati dalle guerre, dalla fame, dal cambiamento climatico, alcuni dei quali muoiono di freddo ai confini di Europa o annegano nel Mediterraneo, sono primi e privilegiati destinatari dell’annuncio evangelico», ha concluso Bassetti, esortando i presenti a raccogliere l’invito di papa Francesco a dar corpo ad una «teologia del Mediterraneo». Punto di partenza: l’umanesimo, «che questa culla fiorentina ha fatto crescere proprio grazie alla presenza dei padri e dei loro seguiti in città. Noi cristiani siamo ancora divisi, ma possiamo e dobbiamo offrire al mondo una visione condivisa dell’uomo nella sua integralità e nella sua integrazione in un creato che ha bisogno della sua cura e della sua custodia».
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