Se tre ragazzi di altrettante diverse provenienze, Menitalla, Shahd e Leonardo, cittadini del mondo, scelgono, per narrare il loro quartiere, «la foto della piazza che mi ha accolto quando sono arrivata a Milano, un’immagine che mi rende veramente felice.”; la foto della mia scuola, un punto di ritrovo e il mio posto preferito; le foto della chiesa e dell’oratorio, luoghi che mi piacciono tanto e rispetto molto perché mi fanno sentire libero di scegliere», forse la missione di educare è sempre possibile e non tutto è perduto. Anche se, a leggere tante cronache di questi giorni, pare che sia così.
E, allora, raccontarsi e raccontare di come si può e si deve fare scuola in un quartiere della periferia milanese è davvero quell’«esercizio promettente che permette la conoscenza reciproca e che trova nel momento della Visita pastorale il suo inizio». Come l’Arcivescovo definisce l’incontro dedicato alle realtà scolastiche del decanato “Affori”, il primo in cui sta compiendo la sua Visita pastorale.
Nel teatro della scuola “Santa Gemma” – fin dal 1927 punto di riferimento educativo nella zona Bovisa, affidato alle Suore di Santa Marta – ci sono insegnati e presidi, il vicario della Zona pastorale I-Milano, monsignor Carlo Azzimonti, il responsabile del Servizio di Pastorale Scolastica, don Fabio Landi, il decano, don Tommaso Castiglioni e i sacerdoti del Decanato per un dialogo che è «anche occasione per dire grazie, perché coloro che lavorano nella scuola sono andati avanti nonostante difficoltà e polemiche pensando solo al bene degli alunni», osserva la direttrice dell’Istituto suor Chiara, che aggiunge: «In noi c’è sempre un cuore innamorato per la comunità: chi è nella scuola non può che giocarsi».
Le testimonianze dei docenti
Tre gli interventi che si alternano raccontando dell’impegno di docenti sul territorio. Inizia Maria Grazia Fèrtoli, rettore dell’Istituto Mandelli-Rodari che, con un’evidente emozione nella voce, richiama la lettera al “Corriere” di una mamma il cui figlio 18enne si è suicidato e dice.
«La scuola non è un oratorio, non è un centro sociale e occorre accompagnare i ragazzi a realizzare il loro bene con un percorso didattico: vogliamo una scuola che propone cose grandi e che, con pazienza, aspetta che i giovani le apprendano. Dobbiamo essere a fianco della loro fatica».
Poi, una seconda caratteristica di questa scuola che può realizzare «una comunione creativa»: la ragione «perché si insegna a usare il pensiero insieme. Lo stile della scuola è di essere una comunità educante, non solo un luogo per l’affinamento di competenze. Una scuola che fa tanto e bene, non tante cose, deve, infine, avere la caratteristica della moralità, per creare uomini buoni e, quindi, anche buoni cittadini. Deve avere – questa scuola – una tensione al bene e alla verità promuovendo un apprendimento affettivo», conclude
Cristina Clerici e Roberto Cacciatore (il suo intervento viene letto da una collega), insegnanti di religione presso l’Istituto Sorelle Agazzi (Comasina e Bovisasca), delineando l’orizzonte di plessi educativi multietnici e plurireligiosi, esprimono la gioia di una sfida quotidiana dove «nessuno ha rinunciato all’ora di religione». Per l’ausiliaria diocesana Cristina tre sono i verbi con cui vivere la professione: «amare e non fuggire; ripensare e rimodulare, riuscendo ad avere sempre quello sguardo nuovo che non parte da sterili preconcetti; confidare perché insegnare oggi è imparare ad alzare lo sguardo e a evidenziare sempre il positivo».
Così come evidenziano gli esempi dei ragazzi, riletti da Cacciatore, da 10 anni referente di Inclusione scolastica e dei rapporti con il territorio presso l’Istituto comprensivo “Sorelle Agazzi”, che hanno scelto, appunto, le fotografie della scuola, della piazza, della parrocchia per raccontare il loro quartiere.
Infine, Cristina Amadori insegnante di religione presso l’Istituto Olmi (Dergano/Bovisa): «È una scuola grande, ricca e complessa. I bambini e ragazzi che la frequentano vengono da molte parti del mondo. Credo che questa sia la fotografia anche delle altre scuole statali di questo territorio. La sfida educativa che ogni giorno ci troviamo a vivere è quella dell’inclusione ma non “a basso prezzo”».
L’intervento dell’Arcivescovo
«La Visita pastorale è un’occasione che non deve essere sciupata, perché può catalizzare una dinamica di rete, la possibilità, il proposito per l’incontro e per la condivisione. Io vorrei propiziare un inizio e mi fido di voi perché siate continuatori di questo incontrarsi», sottolinea, aprendo la sua riflessione, il vescovo Mario.
«Voglio dire anche la benedizione di Dio su voi e le istituzioni che rappresentate. Dio è alleato di ciò che voi fate ed è mia persuasione che Dio benedice questo servizio formativo, di accoglienza e di accompagnamento nella scuola. Come cristiani sentiamo l’importanza di non essere soli, ma benedetti».
Una benedizione esplicitata dall’Arcivescovo, attraverso tre passaggi anche «per tradurla in un atteggiamento spirituale».
«La benedizione, anzitutto, ci offre motivi di fiducia in Dio e nell’umanità. Nei ragazzi e ragazze vi è del bene, loro sono il futuro, anche se non dimentichiamo tanti problemi. Se ci dedichiamo all’opera educativa è perché sappiano che i giovani, anche quelli feriti da una storia complicata, hanno una vocazione alla felicità»
Inoltre, «si tratta di partire dalla fiducia anche in noi stessi. La scuola, spesso, mette i docenti a dura prova e la pandemia ci ha sconvolti, ma proprio per questo bisogna avere cura di sé. Nella fiducia rientra anche la modestia che è la consapevolezza che non si può fare tutto. Non dobbiamo colpevolizzare gli altri, ma neanche vivere di sensi di colpa».
«Un altro riflesso della benedizione di Dio è la fierezza di essere adulti, per aiutare i ragazzi a crescere, testimoniando che ci sono buone ragioni per diventare grandi. Oggi pare che la generazione adulta si senta sconfitta e continui a lamentarsi, ed è, quindi, chiaro che i ragazzi non desiderino diventare adulti. Credo che noi abbiamo, invece, buone ragioni per essere fieri, non presuntuosi, ma contenti.
Ultimo esito, «la convocazione», perché la benedizione di Dio «mette in relazione la Chiesa, l’oratorio, la scuola, la famiglia: questo è un frutto, ma è anche una responsabilità».
A chiudere il dialogo, come meglio non si poteva fare, le immagini di un breve video realizzato dai ragazzi e dalle ragazze dell’Istituto Lagrange.