«Abbiamo visto sorgere la sua stella e siamo venuti per adorarlo». Questo brano in riferimento ai Magi, tratto dal Vangelo di Matteo 2,2, è stato scelto come titolo e guida per la Settimana di preghiera per l’Unità dei Cristiani 2022. Decisione felice e che riveste ancor più significato se si considera che la proposta arriva dal Consiglio delle Chiese del Medio Oriente, con uno specifico riferimento al Libano.
A notarlo è il diacono permanente Roberto Pagani, responsabile del Servizio diocesano per l’Ecumenismo e il Dialogo: «È interessante il fatto che proprio dal Medio Oriente, con tutte le sue tensioni e complessità, giunga un messaggio di luce e di speranza. Questo è il motivo principale per cui, avendo in Diocesi una presenza piuttosto nutrita di cristiani medio-orientali, in particolare libanesi maroniti, abbiamo scelto di aprire la Settimana di preghiera con una celebrazione ecumenica nella chiesa di Santa Maria della Sanità in via Durini, che ospita ormai da parecchi anni la comunità maronita» (qui una celebrazione con l’Arcivescovo nel luglio del 2019, ndr).
Sarà presente anche l’Arcivescovo?
Si. La celebrazione di apertura sarà in presenza, ma come tutte le altre della Settimana è possibile seguirla anche online. Purtroppo il condizionamento legato all’evoluzione della situazione pandemica ci spinge a essere prudenti, per cui abbiamo ridisegnato tutto il calendario tenendo presente tale doverosa attenzione.
Come sta andando quell’«ecumenismo di popolo» a cui ha fatto più volte riferimento l’Arcivescovo, per una testimonianza che ci veda uniti come cristiani nell’attuale emergenza spirituale?
Direi bene, anche se è come se si procedesse su un doppio binario. Da un lato, l’ecumenismo realizzato dalla convivenza e dalla compresenza di tante comunità cristiane sul nostro territorio fa nascere esperienze molto belle e stimolanti, talvolta con una dimensione profetica davvero notevole. Dall’altro lato, l’esperienza più strettamente storica, legata alla fondazione del Consiglio delle Chiese cristiane di Milano e alle forme di ecumenismo che per prime sono nate, sta confrontandosi con una necessità di cambiamento, proprio perché la grande ricchezza di confessioni che Milano esprime – con la possibilità di partecipazione di tante Chiese – rende un poco “stretti” gli spazi aperti molti anni fa, quando l’esperienza del Cccm era agli inizi. È come se ci fosse una crisi, nel senso costruttivo del termine, legata alla crescita che crea un’opportunità per comprendere che la realtà sta cambiando.
Sta mutando la configurazione delle realtà presenti sul territorio della Diocesi: aumentano le Chiese ortodosse, soprattutto per le migrazioni dall’Europa dell’Est. Questo trend chiede un nuovo passo?
Non bisogna avere paura di fare esperienza della diversità che l’altro rappresenta. Oggi il cambio di passo è legato proprio al coraggio di accogliere il diverso, magari superando una serie di ostacoli e condizionamenti che ciascuno di noi, più o meno implicitamente, porta con sé. L’incontro con il diverso da noi ci provoca sempre, perché è evidente che ci sentiamo più vicini e inclini a realizzare iniziative funzionali alle nostre spiritualità, storia, sensibilità. Tuttavia l’altro è un’opportunità: è il cambio di passo necessario per far sì che l’opportunità diventi ricchezza. L’unità nella diversità non può che essere sinfonica. Attualmente l’esperienza della Chiesa maronita a Milano è interessante, perché quella comunità è diventata una sorta di punto di riferimento per i cristiani della regione medio-orientale, non solo libanesi, ma anche siriani o iracheni che qui non possono contare su una presenza organizzata. Dunque questi fedeli si trovano nella chiesa di via Durini e condividono l’esperienza di un’unica celebrazione liturgica. Mi pare un segno – forse piccolo, ma rilevante – della ricchezza nella diversità.