I giovani e la carità e, tra questi due «fuochi ardenti» di una Chiesa unita, libera e lieta, la memoria di un passato di cui andare orgogliosi, ma con lo sguardo rivolto al futuro da costruire insieme con una nuova ripartenza. Quella concretizzatasi a Seregno in due inaugurazioni che, nella stessa giornata, hanno preceduto e seguito la celebrazione per la tradizionale festa del Santo Crocifisso nell’ultima domenica di settembre, presieduta dall’Arcivescovo nella basilica di San Giuseppe. E anche se, per il tempo incerto, la processione con la grande e venerata immagine di Cristo in croce non si è potuta svolgere, l’intera chiesa seregnese, riunita nella Comunità pastorale San Giovanni Paolo II, ha preso parte a ciò che il prevosto, monsignor Bruno Molinari, ha definito una sorta di «anno zero» e l’edificazione «di un nuovo tassello dell’operosità cristiana». Sempre presente anche il Comune, con in prima fila il sindaco, Alberto Rossi.
La Casa del Giovane
Insomma, una bella giornata, a iniziare dall’entusiasmo dei 150 ragazzi e ragazze che, con educatori e sacerdoti, hanno animato la nuovissima “Casa Tabor per la vita comune dei giovani” che inizierà la sua attività già da domenica prossima, con un triplice obiettivo: offrire esperienze di vita comunitaria, essere punto di riferimento per i Corsi formativi dei giovani della città e fornire anche una casa degli educatori. Potendo contare su una ventina i posti letto disponibili, mentre la mensa può ospitare fino a 35 persone, la “Casa” ha come responsabile, coadiuvato da un’ausiliaria diocesana e tre educatori professionali, don Samuele Marelli che ricopre già la responsabilità dei sei oratori di Seregno.
Rivolgendosi ai presenti e a tutti coloro che la frequenteranno, l’Arcivescovo lascia, così, cinque parole per orientare il cammino nel presente e nella vita, «cinque parole, perché spero che vi rendiate conto che siete dei privilegiati, perché avete una comunità di adulti che investe tempo e risorse per voi», ha spiegato, partendo dal termine «stanare».
«Oggi vi è una tendenza a rimanere nel bozzolo e una paura a sporgersi. La casa comune significa uscire – appunto, stanare – perché quando qualcuno rimane chiuso nelle sue fantasticherie, nei suoi computer, anche se si scrivono cose straordinarie sui social, si perde il colore e le cose si ingrigiscono». Poi, il “piacersi”, «che non vuol dire essere perfetti, ma avere la consapevolezza che, così come siete, andate bene per la vita e potete realizzare qualcosa di bello. Dovete riconoscere il bene ricevuto non per compiacervi, ma per imparare a piacervi».
È la volta del verbo “sperare”: «La vostra è soprattutto l’età della speranza che significa credere a una promessa, a una parola che dice un dialogo con Dio. La speranza è figlia di una promessa ed è una vocazione».
Infine, “resistere”, «perché una vita comune significa formarsi un carattere avendo i piedi per terra» e “ringraziare” dei beni ricevuti. «Non la quinta, ma la prima parola. Poter avere una settimana di vita in comune è un segno piccolo, ma molto importante, perché abbiamo bisogno di quotidianità». Di una “vita buona” alla quale, tanti – troppi – non hanno ancora la possibilità di accedere.
La Casa della Carità
È a loro, ma anche a tutta la città, che Seregno, con la Casa della carità, apre una porta, anzi molte porte, in una struttura, di nuova e ariosa progettazione, realizzata in una parte dello storico Istituto “Cornelia e Pasquale Pozzi”, offerto in comodato d’uso dalle Figlie della Carità di San Vincenzo de’ Paoli, da molti anni impegnate nell’Istituto stesso. Tante le realtà che hanno collaborato, unitamente alla fondamentale disponibilità e generosità dei cittadini, per un insieme di servizi che vanno dalla mensa, all’infermeria, dal Centro di ascolto al Piano Emergenza Freddo, dal servizio docce all’Emporio alimentare e alla Scuola di italiano per stranieri. E, allora, poiché il bene bisogna farlo bene, l’indicazione dell’Arcivescovo, prima della benedizione, è chiarissima.
«La carità fa crescere chi offre e chi riceve. Dio benedica questo luogo, la gente che lo frequenta, i volontari, il personale professionista e tutti quelli che bussano a questa casa. La carità cristiana è una cosa straordinaria, è quella dinamica per cui chi dona, in realtà, riceve, chi fa il bene diventa buono come accadde a don Vincenzo de’ Paoli che stato convertito dai poveri ed è divenuto capace di povertà. Questa è la dinamica dell’amore: chi ama diventa sempre più capace di amare e facendo il bene si diviene sempre più capaci di farlo. Il povero non è destinato a rimanere sempre nel bisogno: il vero modo di aiutare le persone è di renderle capaci di amare e di aiutare gli altri. La benedizione non è tanto sulle mura, sui programmi e sulle iniziative, ma sulle persone perché ricevendo il bene diventino capaci di servire».
La celebrazione
Nel cuore delle due inaugurazioni non potevano che esservi la Celebrazione e la benedizione solenne con il grande Santo Crocifisso ligneo, nella basilica di San Giuseppe, che in questo anno festeggia diversi anniversari. Infatti, il 6 maggio 1781 venne aperta al culto e 100 anni dopo – era il 22 settembre 1881 – veniva consacrata da parte del Patriarca Paolo Angelo Ballerini; infine il 27 settembre 1981 fu il cardinale Carlo Maria Martini a leggere il Breve pontificio che elevava la Collegiata di San Giuseppe a Basilica minore romana.
“Compleanni” che sottolinea il prevosto monsignor Molinari e che tornano anche nella riflessione dell’Arcivescovo, nella consapevolezza delle difficoltà di oggi. «Sembra che insieme con l’euforia di una ripresa dopo la pandemia, insieme con la determinazione per una retorica dell’incoraggiamento, insieme con l’esasperazione delle discussioni, si diffonda una grigia tristezza». Grigiore che ha la sua radice nello scoraggiamento, nella formalità, nel pregiudizio. «Ma questa Chiesa è incaricata di offrire il rimedio alla grigia tristezza. Il rimedio è il roveto che continua ad ardere, l’ardore che offre luce, calore, passione per la vita. La comunità cristiana non ha clamorose rivelazioni, proclamazioni solenni e programmi rivoluzionari. Noi non abbiamo che Gesù e proprio in lui riconosciamo il rimedio alla tristezza che rende grigio il mondo. Non rispondiamo al pregiudizio che non si aspetta niente con dibattiti, polemiche, rivendicazioni di meriti, ma piuttosto con la perseveranza nell’ardore». Per questo – suggerisce il Vescovo – vincono i colori e la luce. «Il nostro Dio non abita in lontananze inaccessibili, non parla con fulmini e spaventi, non minaccia castighi e disastri. È la presenza amica dell’uomo di Nazaret che offre la sua amicizia, è il fuoco che arde e che vuole suscitare l’ardore nella comunità, è la luce che splende e che vuole avvolgere di luce ogni vita. Da 240 anni in questa chiesa si celebra l’eucaristia, si offre il pane della vita, per la vita eterna. La celebrazione non è la ripetizione di un rito, ma l’accostarsi al fuoco per diventare fuoco».
Come quello che ha dato vita alla Casa della Carità: «Cosi la Comunità pastorale continua a essere viva, ad essere quella “casa del pane” in cui quello che c’è è condiviso, quella casa della misericordia e della generosità che ha configurato l’umanesimo cristiano e brianzolo. Quello che so fare è per servire e sconfiggere ogni grigia tristezza che invecchia il mondo, che fa ammalare anche i giovani. Anche la “Casa per la vita comune dei giovani” sarà un segno che invita a sperimentare il fuoco per diventare fuoco».