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Sirio 09 - 15 dicembre 2024
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Intervista

«Formare i giovani
a una cultura del lavoro»

A margine della presentazione del Rapporto curato dall’Istituto Toniolo, parla il presidente diocesano della Fuci Alberto Ratti

di Alessandro ZUNINO

14 Gennaio 2013

«Profezia, scienza, visione, sintesi: a me pare che la figura e la testimonianza di Giuseppe Toniolo ci consegnino quattro caratteristiche fondamentali, utili per i giovani interessati all’impegno sociale e politico – così Alberto Ratti, presidente diocesano della Fuci, delinea l’importanza dello studioso per i giovani che si interessano di politica – . La profezia incarnata da Toniolo sta nel guardare alla storia con speranza, nel credere in un mondo migliore, più giusto e solidale. Toniolo, il professore di economia, trasferì rigore e analisi del metodo, propri dell’ambito professionale e accademico, alla sua vita quotidiana: seppe procedere sempre con gradualità, programmando ogni mossa, mettendo un passo dietro l’altro, con lo sguardo di chi sa vedere oltre gli altri, al futuro e alle generazioni che verranno. Ciò che ancora oggi lo rende grande e beato non sono i riconoscimenti professionali, ma la sua incrollabile fede, radicata nell’ordinario. La ricerca, illuminata dalla fede, così come ce l’ha insegnata e testimoniata Toniolo, apre all’incontro con altre idee e visioni, amplia lo sguardo e gli orizzonti del pensiero. Agli universitari cattolici, oggi più di ieri, è affidato un grande compito, difficile e stimolante al tempo stesso: cercare di focalizzare, sensibilizzare, stimolare con sempre maggiore decisione l’attenzione delle comunità cristiane verso l’economia, l’arte, le scienze naturali e tecniche, nonché le discipline che sempre più integrano diversi saperi, collegando le problematiche in esse implicate alle grandi domande sul senso della vita umana, per trovare nuove risorse di approfondimento rispetto alle sfide urgenti per il prossimo futuro, come la sostenibilità ambientale, la bioetica, la parità di genere, il lavoro, l’etica dell’economia…».

Cosa ti ha colpito di più della sua figura?
Mi sono avvicinato alla sua figura ai tempi della scuola superiore, approfondendo per l’esame di maturità il tema del “popolarismo italiano” e dell’impegno dei cattolici nell’ambito sociale e politico. Tratteggiando la storia di questo impegno e conoscendo pian piano le personalità più importanti che hanno arricchito e sviluppato questo percorso, ho avuto la possibilità di conoscere la biografia e tutte le attività realizzate da Toniolo fra la fine dell’800 e l’inizio del ’900. Fin da subito sono restato affascinato dalla sua produzione culturale e dalla sua capacità di coniugare il pensiero con l’azione. Egli sosteneva che per ben agire era innanzitutto necessario ben pensare: in tutte le attività che svolse, Toniolo seppe coniugare in maniera esemplare questi due aspetti. Rimasi molto colpito da questo testimone laico e decisi, allora, di iscrivermi alla facoltà di Economia della Cattolica di Milano, proprio perché interessato, con i miei studi, a realizzare una più compiuta giustizia sociale. La bussola era chiaramente il principio della “destinazione universale dei beni”, caro a Toniolo, e ravvisabile anche nel corpus della Dottrina sociale della Chiesa. Toniolo mi ha poi accompagnato lungo gli anni universitari, finché la Provvidenza ha voluto che proprio io mi trovassi ad essere presidente nazionale della Fuci nei mesi successivi al riconoscimento del miracolo e quindi nelle fasi preparatorie la beatificazione. Da presidente della Fuci ho poi potuto fare visita al luogo della sepoltura, Pieve di Soligo, e alla casa in cui visse per più di vent’anni, a Pisa.

Davanti ai dati del Rapporto Giovani cosa ti aspetteresti dalla politica?
Sono convinto che sia essenziale pensare a misure che investano sulla crescita integrale, umana e spirituale, delle nuove generazioni, e proprio per perseguire questo obiettivo mi sembra che sia prioritario offrire loro la possibilità di essere protagonisti e partecipi della vita civile. Le energie vanno lasciate libere di esprimersi in tutte le loro potenzialità. Per un rinnovato patto tra le generazioni serve l’impegno di tutti, prima di tutto di noi giovani per porre fine a quel meccanismo per cui deleghiamo a pochi la costruzione del presente e del futuro della convivenza civile. Non sia la retorica dei rimpianti e di chi crede che i giovani di oggi siano privi di speranze e opportunità a dettare l’agenda del nostro Paese: per guardare lontano serve rieducarsi alla pazienza, alla tenacia, alla lungimiranza, alla giustizia. Allora, credo che per affrontare il complesso tema del lavoro e dell’occupazione, occorra, a fianco di un moderno welfare sociale (fatto di maggiore tutela per i lavoratori a progetto, misure economiche di sostegno per chi perde il lavoro, anche per lavoratori atipici, o per chi ha necessità di accedere ad un mutuo), anche investire su un duro lavoro educativo che aiuti a costruire un progetto di vita fondato sui talenti e sulla lettura del contesto in cui si vive. Occorre innanzitutto formare i giovani a una “cultura del lavoro” in cui centrali siano rigore, onestà, competenza, applicazione. La politica non potrà più  rimandare il problema: la situazione occupazionale è inscindibilmente legata alla questione riguardante la scuola e gli investimenti in ricerca e sviluppo. Mi aspetto che finalmente la legislatura che comincerà in primavera possa affrontare i problemi irrisolti di questo nostro Paese, pena una crisi irreversibile del sistema e garantire un futuro più stabile e certo alle nuove generazioni.