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Milano

«Disagio giovanile, dagli adulti una terapia della speranza»

Al Tribunale dei minorenni l'Arcivescovo è intervenuto alla presentazione dei progetti che Fondazione Rava, insieme a diverse realtà, ha studiato per aiutare i ragazzi dell’Istituto penale “Beccaria” a riprendersi la loro vita

di Annamaria BRACCINI

22 Luglio 2021

Dieci progetti per i ragazzi dell’Istituto penale per i minorenni “Cesare Beccaria”, dieci possibilità di rimettersi in gioco e di riprendersi la vita: non a caso l’iniziativa si intitola, complessivamente, “Palla al centro”, centro di un campo da cui si riparte per nuove realizzazioni.

Presentato presso il Tribunale per i Minorenni di Milano, l’itinerario, vòlto a prevenire il disagio giovanile creando ponti tra le istituzioni, è stato promosso dalla Fondazione Francesca Rava N.P.H. Italia Onlus, nell’ambito di un accordo di collaborazione con lo stesso Tribunale, il Centro Giustizia Minorile per la Lombardia, il “Beccaria” e l’Ussm (Ufficio di Servizio sociale per minorenni) di Milano. Molti gli interventi delle autorità per l’occasione, tra cui l’Arcivescovo, il Ministro della Giustizia Marta Cartabia (collegata come altri da remoto), il sindaco Giuseppe Sala, la presidente del Tribunale per i Minorenni Maria Carla Gatto, la presidente della Fondazione Mariavittoria Rava, la cantante Paola Turci in veste di testimonial, il prefetto di Milano Renato Saccone, la direttrice del “Beccaria” Cosima Buccoliero e i responsabili delle realtà coinvolte.

I progetti

Tutto questo per parlare di un carcere aperto alla città e di un impegno in dieci progetti (nel frattempo già aumentati per nuove alleanze concretizzatesi), che spaziano dalla ristrutturazione della palestra e di altri spazi del “Beccaria” ai laboratori di arte in programma nell’Istituto, da tornei di calcio e iniziative in collaborazione con la Marina Militare, passando per i corsi di informatica organizzati con Microsoft e per quelli di Educazione finanziaria al risparmio, arrivando ai corsi sul cyberbullismo con la Polizia postale, alle collaborazioni con il Politecnico e la Bicocca, a progetti comunicativi e agli incontri con aziende e startup, attraverso il progetto “Le borse del cuore”.

Insomma, un impegno a 360° nato all’interno di una riflessione «ampia e profonda in particolare sui ragazzi autori di reato» che, come ha ricordato la presidente Gatto, aveva preso avvio il 6 giugno 2019 con l’organizzazione di un convegno svoltosi al Teatro Beccaria – anche allora era presente l’Arcivescovo – per approfondire i temi del Discorso alla Città 2018, «Autorizzati a pensare».

«In un’epoca in cui si parla tanto di sostenibilità sociale, quale cardine dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, la seconda chance che la giustizia minorile offre a questi ragazzi deve essere generata dalla società civile cui tutti sono invitati a partecipare», ha evidenziato Mariavittoria Rava.

L’intervento dell’Arcivescovo

Dalla domanda fondamentale sull’emergenza educativa si è avviata la riflessione dell’Arcivescovo: «C’è una ricerca delle cause che riconduce la trasgressione in età giovanile alle radici, con una sorta di predestinazione dovuta alla famiglia e all’ambiente in cui un ragazzo nasce. Le radici sono, dunque, in un terreno inquinato. La cura, in tale senso, potrebbe essere interpretata come uno sradicare, togliendo le persone dall’ambiente in cui si nutrono di impostazioni sbagliate della vita. Questo è un modo per aiutare a ripartire e a mettere “la palla al centro”, ma, evidentemente, comporta un insieme di complessità in quanto questi giovani hanno ferite più profonde di quelle che un sistema correzionale può raggiungere. Talvolt, si è costretti a sradicare per cercare spazi più propizi, ma sappiamo come sia un rimedio relativo – sempre doloroso – e non automaticamente risolutivo».

C’è, poi, un altro modo di individuare le cause del disagio, osserva: «L’ambiente degradato degrada il giovane, che se vive in un luogo dove non è vi è rispetto gli uni per gli altri e per le cose comuni, porta a non apprezzare né se stessi, né gli altri, né le cose. Qui la cura è quella di migliorare l’ambiente, come fanno i progetti per il “Beccaria”, coinvolgendo i ragazzi stessi a collaborare per restituire dignità all’ambiente in cui vivono. Così, costruendo qualcosa di bello, possono imparare a apprezzarlo. Questo è un contributo promettente, che non garantisce l’esito, ma che favorisce le condizioni perché si possano compiere i passi della ripartenza».

Ma ciò che all’Arcivescovo «preme sottolineare» è una prospettiva più ampia e «più difficile perché la generazione adulta, su ciò che chiamerei la terapia della speranza, risulta oggi meno attrezzata. Per ripartire, per gettare un ponte tra “dentro” e “fuori”, – spiega -, è necessario dare ragioni alla speranza e credo che una comunità accogliente sia un nodo determinante. Noi adulti dobbiamo riconoscere di essere in debito con la generazione giovanile e dovremmo chiederci come essere testimoni di una speranza promettente che dice che vale la pena diventare adulti assumendosi responsabilità, mettendo a frutto i talenti per il bene proprio e quello altrui»

Ovvio che una generazione adulta lamentosa, scoraggiata, incline al pessimismo, non riesce ad assolvere tale debito. Da qui l’indicazione: «In questi progetti c’è l’intuizione che si possono curare le radici, migliorare gli ambienti di vita, ma raccomando l’insistenza sulla “terapia speranza” degli adulti coinvolti nell’accompagnamento dei ragazzi che sono nel circuito penale, per dimostrare che vale la pena diventare cittadini di questa società e di dedicare le proprie risorse per dare gioia agli altri. Questa è una speranza che comprende un futuro più grande della previsione, immaginando un compimento della vita. La buona volontà delle istituzioni, dei Corpi intermedi, delle Fondazioni devono indicare questo».

Le parole del ministro Cartabia e del sindaco Sala  

Un “andare oltre” evidenziato anche da Marta Cartabia, per la quale iniziative come quelle presentate «possono diventare un modello e una realtà paradigmatica perché il circuito penale sempre, ma soprattutto quando coinvolge i minorenni, deve essere un percorso educativo. Attraverso questa educazione, il tempo del circuito penale guarda oltre».

Inoltre per il Ministro occorre vigilare «perché il passato, che ha portato i ragazzi nei nostri istituti, non si cristallizzi in un pregiudizio, lavorando oggi perché il futuro possa essere diverso e si possa uscire da una sorta di circuito vizioso. Non si tratta di delegare, ma di fare rete. La nostra Costituzione parla di Repubblica: una parola corale che mette insieme le istituzioni centrali, locali e la società civile. Voi qui state realizzando ciò che nell’articolo 2 della Costituzione è data come una responsabilità, un vero atto repubblicano».

Il ringraziamento «per tutti coloro che fanno qualcosa per Milano», arriva anche dal sindaco Sala: «Darsi una mano per fare ognuno la sua parte è qualcosa di molto ambrosiano. La Fondazione Rava è una parte irrinunciabile dell’anima milanese. Vi invito a continuare, ad andare avanti. Questa iniziativa ha due valenze: anzitutto quella dedicata ai ragazzi, ma anche quella rivolta a tutta la comunità. Il messaggio è che non bisogna pensare a un attivismo che rivoluziona le cose, ma a progetti fattibili. Cerchiamo di fare vedere che a Milano lo scopo vero è la riabilitazione, come prevede la legge».

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