Sinodo e cammino sinodale. Ne parliamo con il Vicario generale, monsignor Franco Agnesi.
Ci aiuta a fare un po’ di chiarezza?
Con la parola “Sinodo” si intende il Sinodo dei vescovi della Chiesa universale, che lavorerà sul tema «Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione» e che si svolgerà dall’ottobre del 2021 all’ottobre del 2023. Vivrà tre fasi: quella diocesana, quella continentale e quella universale. Si attendono ancora precisazioni dalla Segreteria generale. L’espressione “Cammino sinodale” vuole indicare che la sinodalità non è un evento a sé, ma uno stile permanente di Chiesa. La “Carta d’intenti” proposta nell’ultima Assemblea della Cei in maggio ha indicato la prospettiva: riprendere in mano Evangelii gaudium con la lente di ingrandimento del Discorso del Papa al Convegno ecclesiale di Firenze (2015) e facendo tesoro delle esperienze che in Italia già diverse Chiese locali fanno.
Quali tappe avrà il “cammino sinodale”?
Inizierà in sintonia con il Sinodo universale (2021), si svilupperà con l’ascolto di tutto il popolo di Dio (2022), vivrà un momento unitario di dialogo e confronto con tutte le anime del cattolicesimo italiano (2023) che condurrà a una sintesi da offrire alle Diocesi (2024) e a una verifica a livello nazionale del cammino fatto (Giubileo del 2025). La Presidenza della Cei darà presto indicazioni più precise.
Come si svolgerà la parte diocesana del Cammino sinodale?
Siamo già in cammino e abbiamo vissuto il Sinodo «Chiesa dalle genti» con la preghiera, l’ascolto capillare, il discernimento, le decisioni pastorali. Ora stiamo cercando di diventare «Chiesa dalle genti» e non più «Chiesa della tradizione in cui si è sempre fatto così». Dobbiamo convertirci, anche a livello organizzativo, a una comunione più intensa e a una missione più attenta al tempo che viviamo.
In che modo questo cammino incrocia quello della riforma del Decanato?
Per la nostra Diocesi il modo di partecipare al Cammino sinodale della Chiesa in Italia è anzitutto l’Assemblea sinodale decanale e il suo avvio attraverso il Gruppo Barnaba. Non vogliamo “fare delle cose”, ma dare un volto sinodale alla Chiesa. Non vogliamo creare un organismo o solo farci dire dagli esperti che cosa è la sinodalità, ma vogliamo tutti insieme rispondere alla domanda «come essere cristiani missionari nella quotidianità», partendo dall’Eucaristia che celebriamo la domenica.
La Diocesi però è chiamata anche a dare un contributo specifico al Sinodo della Chiesa universale…
La risposta a quanto la Segreteria generale chiederà alle Diocesi verrà data soprattutto dal Consiglio pastorale diocesano, che ha in sé le caratteristiche della capillarità e della varietà dei carismi.
Dopo l’ultima Assemblea generale si è parlato di un nuovo metodo di lavoro che la Cei vuole darsi nel suo rapporto con le diocesi: ci può spiegare meglio?
Mi pare si possa sintetizzare così: l’itinerario del Cammino sinodale comporta la necessità di passare dal modello pastorale in cui le Chiese in Italia erano chiamate a recepire gli Orientamenti Cei a un modello pastorale che introduce un percorso sinodale, con cui la Chiesa italiana si mette in ascolto e in ricerca per individuare proposte e azioni pastorali comuni.
Che cosa vuol dire, in estrema sintesi, sinodalità nella Chiesa?
Se lo sapessi, non si farebbe un Sinodo universale… Mi faccio aiutare dalle parole del Papa all’Azione Cattolica: «In effetti, quello sinodale non è tanto un piano da programmare e da realizzare, ma anzitutto uno stile da incarnare. E dobbiamo essere precisi: la sinodalità non è fare il parlamento, non è cercare una maggioranza sulle soluzioni pastorali. Ciò che fa sì che la discussione, il “parlamento” diventino sinodalità è la presenza dello Spirito: la preghiera, il silenzio, il discernimento di tutto quello che noi condividiamo. Non può esistere sinodalità senza lo Spirito, e non esiste lo Spirito senza la preghiera. Questo è molto importante».