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Sirio 18 - 24 novembre 2024
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Milano

L’Arcivescovo: «La Cattolica sia inquieta per andare e guardare oltre»

Messa in Sant’Ambrogio e cerimonia in Aula magna per l’inaugurazione dell’anno accademico, a cent'anni dall'istituzione dell'Università. Le parole di monsignor Delpini, del rettore Anelli e del presidente Mattarella, collegato dal Quirinale

di Annamaria BRACCINI

13 Aprile 2021

«Il valore sociale di un’Università si misura dalla qualità delle persone che ha educato».  Potrebbe essere questa espressione – pronunciata dal rettore dell’Università Cattolica Franco Anelli nel suo discorso per l’inaugurazione dell’anno accademico -, la cifra e la sintesi più alta dei 100 anni di storia dell’ateneo, anniversario che proprio questa cerimonia inaugura. Sugli schermi scorrono le immagini storiche di una lontana Cattolica in bianco e nero, dal 1921 – con i fondatori padre Gemelli, Armida Barelli, Ludovico Necchi, monsignor Francesco Olgiati, Ernesto Lombardo e l’originario ispiratore Giuseppe Toniolo – fino al dopoguerra e ai fermenti del 1968. Tanti i numeri, sempre in crescita, di iscritti, laureati, docenti e personale, sedi, corsi, a testimoniare una storia gloriosa che guarda al futuro. Oltre 45 mila iscritti attualmente (nel 1921 erano 68); 14.445 immatricolazioni per l’anno 2020-2021, con una crescita di oltre il 3% rispetto all’anno precedente.   

L’Aula magna, in tempo di pandemia, è molto diversa da quella di altrie affollatissime inaugurazioni, ma come dice il professor Anelli «non abbiamo ragione di sentirci soli», anche perché dal Quirinale è collegato il presidente della Repubblica Sergio Mattarella – come i sindaci delle città che ospitano le quattro sedi dell’ateneo, Milano, Roma, Piacenza, Brescia – e perché sono moltissimi gli studenti e docenti che seguono l’inaugurazione in diretta streaming. In presenza, infatti, ci sono solo il Rettore, attorniato dai presidi delle 12 Facoltà, monsignor Delpini nella sua veste di Arcivescovo, Gran Cancelliere dell’Ateneo e presidente dell’Istituto Giuseppe Toniolo di Studi Superiori (ente fondatore e garante della Cattolica) e l’assistente ecclesiastico generale, monsignor Claudio Giuliodori.

L’intervento dell’Arcivescovo

Dal significato del centenario e dal ruolo dell’ente fondatore, di cui è presidente, muove la riflessione dell’Arcivescovo: «Questi 100 anni, con l’evoluzione impressionante dell’Ateneo quanto a numeri di iscritti, assunzione di prestigio e a produzione scientifica, suggerisce che il “Toniolo” deve svolgere la sua funzione non tanto con un ruolo di vigilanza, ma con un ruolo di incoraggiamento e di coscienza critica».

Da qui due indicazioni precise. «C’è un criterio che potremmo chiamare “indirizzo del gradimento”. Per essere gradita l’Università deve offrire la qualità desiderabile di produzione scientifica e di abilitazione di competenze per favorire la collocazione occupazionale dei suoi laureati; deve coltivare quegli ambiti di ricerca che possono trovare finanziamenti e che possano corrispondere alle attese del momento. Per essere gradita deve offrire le condizioni logistiche e burocratiche che favoriscano la vita, la studio, le relazioni degli studenti».

Ma vi è, poi, il secondo criterio – e si capisce che è questo che sta veramente a cuore all’Arcivescovo – , «l’indirizzo dell’inquietudine»: «L’espressione molto allusiva indica quell’atteggiamento tipico del cristiano che è cittadino del mondo e, quindi, si inserisce con simpatia ed efficienza nella vita ordinaria, ma insieme è pellegrino sulla terra e ha criteri di giudizio che fanno riferimento a una sapienza più alta e uno stile di vita coerente. L’inquietudine significa che i successi mondani non sono mai il criterio decisivo, perché il criterio decisivo è la parola del Vangelo; significa che l’impegno non si può esaurire nel conseguire risultati, perché deve essere orientato a una missione da portare a compimento. L’inquietudine significa che il gradimento è ambiguo e che non si deve temere l’impopolarità in nome della verità di cui siamo testimoni e significa che gli ambiti di ricerca non possono essere solo quelli che “soddisfano i clienti”, ma devono essere quelli che aprono orizzonti, che inquietano i gli studenti e i docenti, che spingono la ricerca verso la comprensione di un umanesimo cristiano e la sua praticabilità nei diversi ambiti del vivere».

In sintesi, «l’inquietudine significa che i cristiani non sono mai soddisfatti delle loro opere, non perché sono di natura scontenti, ma perché la verità è ancora oltre quello che i libri contengono, la felicità è ancora oltre quello che le mete raggiunte promettono, la fraternità è ancora oltre quello che nella società si realizza».

Le parole di Mattarella

A tutti si rivolge il presidente Mattarella che apre il suo intervento rivolgendo «un «saluto di grande cordialità»: «Cento anni rappresentano una ricorrenza di grande importanza, non per il tempo trascorso, ma per gli eccellenti risultati conseguiti in questo stesso tempo ».

Il ricordo va alle vittime del Covid (che non ha risparmiato anche diverse componenti della Cattolica) e l’«apprezzamento è nei confronti dell’Università per il mantenimento della funzionalità che hanno attenuato le privazioni e le restrizioni subìte dagli studenti».  «Dal momento della fondazione il contributo dell’Università è sempre stato di grande rilievo», aggiunge il Presidente, che ricorda i docenti e laureati della Cattolica facenti parte dell’Assemblea costituente: «Si avverte un senso di comunità, ribadito con forza oggi, in epoca di pandemia», come dimostra «l’opera del Policlinico “Gemelli”», evidenzia.

«Tutto questo rientra in quello che si potrebbe chiamare la visione sociale e civile realizzata da tutte le realtà e presenze che contribuiscono, con qualunque segno e ispirazione, al bene comune in particolare quelle orientate alla formazione che danno un’impronta al futuro del nostro Paese. Tali caratteri dell’homo civicus sono italiani e europei».

Infine, il riferimento è all’Arcivescovo e allo «spirito dell’inquietudine». «Questa condizione – sottolinea il Presidente – di sentirsi cittadini del mondo e, al contempo, pellegrini al suo interno è comune a tutti, qualsiasi siano le convinzioni che vengono professate, perché riflette il senso di incompiutezza che accompagna la condizione umana e che spinge a cercare nuove conoscenze. Un senso di non appagamento alla base di ogni sforzo di ricerca scientifica in ogni campo. È questo carattere che rende attrattivi gli Atenei e la loro azione fondamentale per il presente e il futuro del Paese. Per essere educatori occorre dare credito ai giovani che mantengono sempre giovane l’Ateneo», conclude.

Il discorso del Rettore

Dalla pandemia e da tutto ciò che ha cambiato, anche in un contesto universitario, e sta continuando a cambiare, si avvia il discorso inaugurale del Rettore: «Gli studenti, che non appena è loro consentito tornano a popolare i chiostri, ci assegnano tacitamente. ma chiaramente, un compito: fare in modo che l’Università, pur impadronitasi delle tecnologie, rimanga anche in futuro un luogo, nel quale le persone si incontrano e crescono insieme. Abbiamo perduto maestri, colleghi, amici, e tutti li ricordo commosso; ma proprio la capacità di pensarci comunque, pur nell’emergenza, come comunità ci ha sostenuto nel resistere e reagire». L’invito è a guardare avanti, senza paure, anche perché in cento anni le prove superate sono state tante.

«L’Università Cattolica ha attraversato il Novecento e tutti i suoi rivolgimenti, affrontato i momenti difficili e contribuito con passione a quelli di crescita, ha insomma accompagnato l’evoluzione della società italiana, sempre restando testimone dei propri valori, salda nel riferimento trascendente, vigile custode della propria indipendenza. Il più grande dono che questo Ateneo può rivendicare di aver dato alla società italiana sono, più ancora della ricca produzione scientifica e della testimonianza culturale, le persone che qui sono state educate. I nostri oltre 300 mila laureati e diplomati dalla fondazione. Questo primo secolo non è storia passata: è una “fabbrica” perennemente operosa, come un’antica cattedrale, che consegniamo a tutti coloro che scriveranno le prossime pagine della vita dell’Ateneo».

La Messa in Sant’Ambrogio

Auspici, speranze, indicazioni per un ateneo dei cattolici italiani per il quale l’Arcivescovo - aprendo la mattinata dell’inaugurazione, come tradizione, con la celebrazione presieduta nella Basilica di Sant’Ambrogio - ha suggerito alcuni percorsi per universitari. Anzitutto per le matricole, chiamate a passare «dal pregiudizio allo stupore vissuto con semplicità; da osservatore esterno a protagonista», osserva l’Arcivescovo, cui sono accanto, come concelebranti, monsignor Claudio Giuliodori, assistente ecclesiastico generale dell’Università e monsignor Carlo Faccendini, abate di Sant’Ambrogio.
«Il percorso universitario in Cattolica non intende solo consegnare volumi noiosi che staranno poi negli scaffali per una vita, ma far crescere un senso di stupore per il coinvolgimento che le conoscenze comportano, un senso di responsabilità per il mondo in cui viviamo. Insomma la spiritualità della matricola si può chiamare anche la riposta alla vocazione: chiamati a mettersi in cammino per rendere migliore quel pezzetto di mondo che i laureati dell’Università Cattolica sono chiamati ad abitare».
E così come esiste una responsabilità della vocazione per i giovani, quella degli accademici deve essere una spiritualità nutrita di «gratitudine» e di «responsabilità per la missione». «Coloro che in Università Cattolica assumono incarichi di responsabilità sono chiamati non soltanto a essere i docenti o gli amministratori migliori possibili, onesti, efficienti, competenti, ma anche a svolgere il loro compito in modo che sia seminata la speranza e senso critico. Hanno da far intravedere e da testimoniare una visione del mondo che non suggerisca la rassegnazione, ma alimenti un desiderio di vita eterna e perciò di vita santa nel quotidiano più ordinario. I testimoni della Risurrezione non sono tanto quelli che la predicano, ma quelli che custodiscono una riserva inesauribile di gioia e di fiducia, di disponibilità al sacrificio, al perdono, alla compassione».  

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