Narrano le cronache che la badessa di Santa Chiara a Milano, “armata” soltanto del crocifisso, nel 1515 abbia fermato la soldataglia di Francesco I re di Francia che, saccheggiando la città, stava per irrompere nella clausura. Chi le succedette, però, evidentemente nulla poté fare per salvare l’antico monastero dalla soppressione, nel 1783, quando gli edifici delle religiose vennero occupati dal Monte di Pietà e la chiesa fu trasformata in magazzino. Un secolo più tardi gli affreschi superstiti furono strappati e trasferiti su tela, entrando a far parte della collezione dell’istituto bancario (Intesa Sanpaolo, Ubi) che si è insediato in quel luogo.
Si tratta di dipinti quattrocenteschi di notevole interesse, noti soltanto alla ristretta cerchia degli specialisti e che oggi, invece, per la prima volta, vengono presentati al pubblico in una nuova mostra a Milano presso il Museo diocesano “Carlo Maria Martini”, che sarà inaugurata giovedì 25 febbraio (info nel box accanto) e che resterà aperta fino al prossimo 4 luglio.
Una bella e importante iniziativa per “festeggiare” la riapertura dei propri spazi dopo la chiusura causata, com’è noto, dall’attuale emergenza sanitaria. Ma anche un nuovo appuntamento con la grande arte per accompagnare visitatori e fedeli in questo tempo di Quaresima, come ulteriore occasione di riflessione e di contemplazione nei Chiostri di Sant’Eustorgio.
Il monastero di Santa Chiara era nato a metà del XV secolo sull’entusiasmo suscitato a Milano dalla predicazione di san Bernardino da Siena, che aveva spinto un gruppo di suore della congregazione degli umiliati ad abbracciare la regola delle clarisse francescane. Secondo le norme della clausura venne edificata una chiesa “doppia”, ovvero con una parte riservata alle religiose e un’altra pubblica, aperta ai fedeli.
Gli affreschi che saranno esposti al Diocesano appartengono a un ampio ciclo dedicato alla vita di Gesù, dall’Entrata a Gerusalemme all’Ascensione: undici episodi degli oltre venti che dovevano costituire l’apparato decorativo originale, con la parte centrale della Crocifissione che purtroppo è andata perduta. Un ciclo, studiato e ricostruito proprio in occasione di questa rassegna (curata da Alessia Devitini e Laura Paola Gnaccolini), che probabilmente si distendeva all’interno della chiesa claustrale, diversamente quindi da quello che possiamo osservare in altri contesti dei Minori Osservanti dove, tra Lugano e Pavia, da Varallo alla Val Camonica, queste sacre scene campeggiavano sul tramezzo che separa l’aula dei fedeli dal presbiterio.
Una relazione di epoca borromaica afferma che su questi affreschi si poteva leggere la data “1476”: un riferimento cronologico che effettivamente è confermato anche dall’analisi stilistica dei dipinti, assegnabili alla seconda metà del XV secolo, opera di una bottega ancora da identificare, ma certamente lombarda (o propriamente milanese), che ancora si ispira allo stile di Michelino da Besozzo, ma che è debitrice in primo luogo alla lezione degli Zavattari (soprattutto con il maestoso ciclo della Cappella di Teodolinda nel Duomo di Monza); ignara della rivoluzione artistica di Leonardo (che infatti sarà a Milano solo dagli anni Ottanta del Quattrocento) e che tuttavia ha già conosciuto le novità apportate da un Vincenzo Foppa (attraverso il suo capolavoro nella Cappella Portinari). Artisti insomma che, pur attardandosi su stilemi tardogotici, cercano di aggiornarsi in una prospettiva rinascimentale: come accadeva nel fervido cantiere del Duomo (lo si può osservare soprattutto nelle vetrate quattrocentesche); e come faceva, ad esempio, Cristoforo Moretti, attivo a Milano proprio attorno al 1475, i cui dipinti a lui attribuiti presentano, a nostro giudizio, suggestivi riscontri con queste scene di Santa Chiara.
Una particolarità di questo ciclo di affreschi è la presenza del Commiato di Gesù da Maria, con il figlio che si inginocchia davanti alla madre ricevendone la benedizione, alla vigilia della sua Passione. L’episodio non è citato nei Vangeli, ma è descritto in testi diffusi proprio negli ambienti francescani, tradizionalmente attribuiti a san Bonaventura. Può essere interessante rilevare, a tale proposito, che questa scena, iconograficamente piuttosto rara, è presente proprio a Milano anche in un altro celebre dipinto, di un secolo più tardo, conservato nel santuario di Santa Maria dei Miracoli presso San Celso: a testimoniare, probabilmente, una singolare attenzione per questo soggetto nel capoluogo lombardo.
Emozionante, infine, sarà vedere finalmente riuniti insieme a questi affreschi anche quei bei tondi scolpiti quattrocenteschi che il Museo diocesano annovera da sempre nelle sue collezioni e che provengono proprio dalla chiesa milanese di Santa Chiara. Le sorprese, insomma, non finiscono mai.