Il fenomeno non è particolarmente seguito dai media italiani, ma da qualche mese numerose capitali europee sono teatro di grandi manifestazioni politiche e sindacali legate alla crisi economica. Milioni di persone, e la cifra è arrotondata per difetto, stanno chiedendo di distribuire in modo diverso il peso della crisi. Qualche settimana fa lavoratori di tutta Europa si sono concentrati a Bruxelles paralizzando pacificamente la città. In Spagna le manifestazioni popolari, che hanno bloccato i trasporti pubblici interni per due giorni, hanno costretto il premier Zapatero a elaborare una riforma economica più concertata. In Grecia le leggi draconiane del governo, dopo il rischio di default sul debito, continuano a generare una tensione sociale simbolicamente rappresentata dal blocco dell’Acropoli trasmesso in mondovisione. Le manifestazioni maggiori si stanno svolgendo in Francia, dove il governo sta tentando una riforma delle pensioni che non incontra il consenso dei lavoratori.
I quotidiani francesi aggiornano in tempo reale la mappa delle manifestazioni. Nonostante il solito balletto di cifre ufficiali e ufficiose, tutti riconoscono che da diversi giorni sono milioni le persone a scendere in piazza in tutta la Francia. Le contestazioni principali riguardano l’innalzamento dell’età in cui si può andare in pensione (da 60 a 62 anni con retribuzione ridotta, da 65 a 67 con retribuzione piena). Troppo elevata l’età, dicono i lavoratori, inadeguate le eccezioni per i lavori usuranti e, ciò che più conta, troppo difficile l’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro applicando con queste norme.
La dimensione delle proteste in Francia e negli altri Paesi permette di collocare anche la manifestazione sindacale di sabato scorso a Roma in questo ampio disagio che sta vivendo l’Europa e che non può essere liquidato usando il metro del proprio ombelico, come da troppo tempo avviene nella politica italiana. È urgente sviluppare una riflessione coraggiosa. Quali prospettive abbiamo in Europa per costruire un equilibrio tra occupazione, sostenibilità economica e ambientale e mantenimento del benessere? Viviamo in un contesto internazionale mutato, sia per la globalizzazione che pur impoverendo gli ultimi coinvolge nuovi attori, sia per la crisi che crea vantaggi relativi nei paesi emergenti.
L’assenza della politica europea però preoccupa. Se la tensione tra sindacati e governi è pesante, non sembra emergere una visione del futuro che indichi e offra nuovi ruoli di cittadinanza economica e politica. L’azione di Sarkozy pare seguire più l’attualità che un programma di governo divenuto vecchio, con la crisi, pochi mesi dopo la sua presentazione. In Germania Angela Merkel, dopo aver ostacolato il consenso europeo nell’azione di stabilità con la Grecia, pare ossessionata dagli appuntamenti elettorali regionali. L’ultima battuta pronunciata sul fallimento della multiculturalità e sull’esigenza che gli stranieri lavorino in Germania senza pesare sui servizi del paese rivela, al di là del severo giudizio etico e politico che suscita, quantomeno una inadeguatezza nella cura delle comunicazione che un leader, nazionale se non europeo, dovrebbe avere. Dappertutto la crisi, come in Italia, genera difficoltà sia al governo sia all’opposizione, premiando, come è avvenuto recentemente in Svezia, in Olanda e in Belgio, le frange estremiste.
Sono segnali di una crisi culturale e politica della quale l’Europa deve trovare soluzioni nuove, con un passo che consenta di camminare insieme a Est e Ovest, evitando il doppio rischio insidioso di guardare al breve periodo e alle competizioni tra Paesi. Nella crisi che stiamo vivendo i governi tendono a contenere la spesa pubblica minacciata dalle misure straordinarie di sostegno all’economica. I grandi paesi della vecchia Europa quindi litigano con le forze sociali, mentre paesi con minori preoccupazioni finanziarie gareggiano ad attirare nuove imprese e occupazione offrendo consistenti sconti fiscali, come stanno facendo alcune nazioni dell’Est Europa.
Senza governare queste tendenze l’Europa si farà male da sola, indebolendosi a favore di paesi emergenti extraeuropei e senza raggiungere nuovi equilibri interni. Per evitare queste derive, paesi come la Finlandia cercano di riequilibrare la propria spesa in favore della scuola e della ricerca, strumenti leggeri ma fondamentali per favorire in futuro occupazione e investimenti. Apparentemente possono farlo perché non vincolati da un bilancio pubblico oberato dal peso del debito come quello italiano. In realtà possiamo farlo anche noi. Anzi dobbiamo farlo. È proprio quando le risorse sono scarse che occorre cercare il confronto e lanciare nuove sfide, con progetti politici che facciano scelte chiare. Accontentarsi di contenere la spesa riducendo uniformemente le dotazioni a tutti i ministeri significa solo rinunciare a incidere: rinunciare a costruire il futuro nostro e dei nostri figli. Il fenomeno non è particolarmente seguito dai media italiani, ma da qualche mese numerose capitali europee sono teatro di grandi manifestazioni politiche e sindacali legate alla crisi economica. Milioni di persone, e la cifra è arrotondata per difetto, stanno chiedendo di distribuire in modo diverso il peso della crisi. Qualche settimana fa lavoratori di tutta Europa si sono concentrati a Bruxelles paralizzando pacificamente la città. In Spagna le manifestazioni popolari, che hanno bloccato i trasporti pubblici interni per due giorni, hanno costretto il premier Zapatero a elaborare una riforma economica più concertata. In Grecia le leggi draconiane del governo, dopo il rischio di default sul debito, continuano a generare una tensione sociale simbolicamente rappresentata dal blocco dell’Acropoli trasmesso in mondovisione. Le manifestazioni maggiori si stanno svolgendo in Francia, dove il governo sta tentando una riforma delle pensioni che non incontra il consenso dei lavoratori.I quotidiani francesi aggiornano in tempo reale la mappa delle manifestazioni. Nonostante il solito balletto di cifre ufficiali e ufficiose, tutti riconoscono che da diversi giorni sono milioni le persone a scendere in piazza in tutta la Francia. Le contestazioni principali riguardano l’innalzamento dell’età in cui si può andare in pensione (da 60 a 62 anni con retribuzione ridotta, da 65 a 67 con retribuzione piena). Troppo elevata l’età, dicono i lavoratori, inadeguate le eccezioni per i lavori usuranti e, ciò che più conta, troppo difficile l’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro applicando con queste norme.La dimensione delle proteste in Francia e negli altri Paesi permette di collocare anche la manifestazione sindacale di sabato scorso a Roma in questo ampio disagio che sta vivendo l’Europa e che non può essere liquidato usando il metro del proprio ombelico, come da troppo tempo avviene nella politica italiana. È urgente sviluppare una riflessione coraggiosa. Quali prospettive abbiamo in Europa per costruire un equilibrio tra occupazione, sostenibilità economica e ambientale e mantenimento del benessere? Viviamo in un contesto internazionale mutato, sia per la globalizzazione che pur impoverendo gli ultimi coinvolge nuovi attori, sia per la crisi che crea vantaggi relativi nei paesi emergenti.L’assenza della politica europea però preoccupa. Se la tensione tra sindacati e governi è pesante, non sembra emergere una visione del futuro che indichi e offra nuovi ruoli di cittadinanza economica e politica. L’azione di Sarkozy pare seguire più l’attualità che un programma di governo divenuto vecchio, con la crisi, pochi mesi dopo la sua presentazione. In Germania Angela Merkel, dopo aver ostacolato il consenso europeo nell’azione di stabilità con la Grecia, pare ossessionata dagli appuntamenti elettorali regionali. L’ultima battuta pronunciata sul fallimento della multiculturalità e sull’esigenza che gli stranieri lavorino in Germania senza pesare sui servizi del paese rivela, al di là del severo giudizio etico e politico che suscita, quantomeno una inadeguatezza nella cura delle comunicazione che un leader, nazionale se non europeo, dovrebbe avere. Dappertutto la crisi, come in Italia, genera difficoltà sia al governo sia all’opposizione, premiando, come è avvenuto recentemente in Svezia, in Olanda e in Belgio, le frange estremiste.Sono segnali di una crisi culturale e politica della quale l’Europa deve trovare soluzioni nuove, con un passo che consenta di camminare insieme a Est e Ovest, evitando il doppio rischio insidioso di guardare al breve periodo e alle competizioni tra Paesi. Nella crisi che stiamo vivendo i governi tendono a contenere la spesa pubblica minacciata dalle misure straordinarie di sostegno all’economica. I grandi paesi della vecchia Europa quindi litigano con le forze sociali, mentre paesi con minori preoccupazioni finanziarie gareggiano ad attirare nuove imprese e occupazione offrendo consistenti sconti fiscali, come stanno facendo alcune nazioni dell’Est Europa.Senza governare queste tendenze l’Europa si farà male da sola, indebolendosi a favore di paesi emergenti extraeuropei e senza raggiungere nuovi equilibri interni. Per evitare queste derive, paesi come la Finlandia cercano di riequilibrare la propria spesa in favore della scuola e della ricerca, strumenti leggeri ma fondamentali per favorire in futuro occupazione e investimenti. Apparentemente possono farlo perché non vincolati da un bilancio pubblico oberato dal peso del debito come quello italiano. In realtà possiamo farlo anche noi. Anzi dobbiamo farlo. È proprio quando le risorse sono scarse che occorre cercare il confronto e lanciare nuove sfide, con progetti politici che facciano scelte chiare. Accontentarsi di contenere la spesa riducendo uniformemente le dotazioni a tutti i ministeri significa solo rinunciare a incidere: rinunciare a costruire il futuro nostro e dei nostri figli.
Europa
Crisi, proteste senza confini
L'Ue chiamata a trovare soluzioni nuove
di Riccardo MORO Redazione
18 Ottobre 2010