I manager possono riprendersi un ruolo centrale per lo sviluppo dell’economia e delle imprese a condizione che tornino a puntare sulla formazione, che accettino uno stipendio basato sulla parte variabile e che siano eticamente al di sopra di ogni sospetto. Sono queste le principali conclusioni del convegno “Oltre la crisi, l’impresa e il ruolo del management” organizzato nei giorni scorsi da Fondazione Istud e Ambrosianeum.
La crisi ha avviato un dibattito sull’impresa, sul ruolo del management e sul modello di education offerto dalle grandi scuole di business. La riflessione critica sulla funzione del management oggi e sulla sua reale capacità di porsi come elemento dinamico nella crescita dell’impresa sono stati al centro di un dibattito fra studiosi e uomini d’impresa.
Anche il cardinale Dionigi Tettamanzi è intervenuto nella riflessione con un testo inviato ai partecipanti nel quale, ricordando la recente enciclica di Benedetto XVI, Caritas in veritate – che ha offerto una prospettiva nuova nella ricomposizione tra ricchezza e lavoro, tra sociale ed economico – ha rilanciato «l’appello a immaginare nuovi modelli di impresa che consentano di svilupparla come realtà effettivamente partecipata, ad ogni livello della decisione economica, naturalmente nel rispetto dei ruoli e delle competenze di ciascuno, superando la rigida dicotomia attuale tra le cosiddette controparti».
Se l’azienda è un’entità costituita da una molteplicità di attori, il management sarà al servizio di molti interessi per cercare di combinarli e sarà pagato in funzione della performance complessiva. E potrà tornare ad avere un ruolo centrale nello sviluppo economico. «C’era un tempo, fino alla fine degli anni ’70 – osserva Sandro Catani della Fondazione Istud, che ha coordinato i lavori del convegno – in cui i dirigenti d’azienda erano veri signori. Ben pagati, riconosciuti per la loro abilità e preparazione tecnica, godevano di un indubbio rispetto sociale. Erano gli anni dei cacciatori di teste, che cercavano i migliori dirigenti per i loro migliori clienti e li invogliavano con progetti aziendali sfidanti e con pacchetti retributivi generosi».
Oggi invece i dirigenti vengono tagliati a migliaia. Senza valutare a fondo se le rispettive competenze possono ancora essere utili per le aziende. D’improvviso il tema non è più l’auto aziendale tedesca, full optional, treno di gomme invernali compreso. Ma la disoccupazione». È un lavoro finito, drammaticamente agli sgoccioli? No, è stata la conclusione unanime degli intervenuti al convegno. Ci sono le condizioni perché centinaia di ottimi professionisti possano tornare al ruolo che è stato loro precluso. Tre le condizioni: «Che ritornino a puntare sulla formazione – riassume Catani -, che accettino uno stipendio in cui la parte variabile sia fondamentale e che siano eticamente indiscutibili. Niente di impossibile o slegato dalla realtà. Credo che i dirigenti (fuori o dentro le aziende) siano più che disponibili al cambiamento».
Per ripartire, dunque, occorre innanzitutto l’impegno dei singoli. Come ha sottolineato Carlo Sironi, dell’Ambrosianeum: «Dalle grandi crisi si esce storicamente ripartendo dagli uomini. Ambrosianeum ha iniziato la sua attività nell’immediato dopoguerra per contribuire a formare laici cristianamente maturi, capaci di assumere responsabilità nei diversi settori della società civile in campo professionale e amministrativo, in un grande momento di ricostruzione materiale e morale del Paese». I manager possono riprendersi un ruolo centrale per lo sviluppo dell’economia e delle imprese a condizione che tornino a puntare sulla formazione, che accettino uno stipendio basato sulla parte variabile e che siano eticamente al di sopra di ogni sospetto. Sono queste le principali conclusioni del convegno “Oltre la crisi, l’impresa e il ruolo del management” organizzato nei giorni scorsi da Fondazione Istud e Ambrosianeum.La crisi ha avviato un dibattito sull’impresa, sul ruolo del management e sul modello di education offerto dalle grandi scuole di business. La riflessione critica sulla funzione del management oggi e sulla sua reale capacità di porsi come elemento dinamico nella crescita dell’impresa sono stati al centro di un dibattito fra studiosi e uomini d’impresa.Anche il cardinale Dionigi Tettamanzi è intervenuto nella riflessione con un testo inviato ai partecipanti nel quale, ricordando la recente enciclica di Benedetto XVI, Caritas in veritate – che ha offerto una prospettiva nuova nella ricomposizione tra ricchezza e lavoro, tra sociale ed economico – ha rilanciato «l’appello a immaginare nuovi modelli di impresa che consentano di svilupparla come realtà effettivamente partecipata, ad ogni livello della decisione economica, naturalmente nel rispetto dei ruoli e delle competenze di ciascuno, superando la rigida dicotomia attuale tra le cosiddette controparti».Se l’azienda è un’entità costituita da una molteplicità di attori, il management sarà al servizio di molti interessi per cercare di combinarli e sarà pagato in funzione della performance complessiva. E potrà tornare ad avere un ruolo centrale nello sviluppo economico. «C’era un tempo, fino alla fine degli anni ’70 – osserva Sandro Catani della Fondazione Istud, che ha coordinato i lavori del convegno – in cui i dirigenti d’azienda erano veri signori. Ben pagati, riconosciuti per la loro abilità e preparazione tecnica, godevano di un indubbio rispetto sociale. Erano gli anni dei cacciatori di teste, che cercavano i migliori dirigenti per i loro migliori clienti e li invogliavano con progetti aziendali sfidanti e con pacchetti retributivi generosi».Oggi invece i dirigenti vengono tagliati a migliaia. Senza valutare a fondo se le rispettive competenze possono ancora essere utili per le aziende. D’improvviso il tema non è più l’auto aziendale tedesca, full optional, treno di gomme invernali compreso. Ma la disoccupazione». È un lavoro finito, drammaticamente agli sgoccioli? No, è stata la conclusione unanime degli intervenuti al convegno. Ci sono le condizioni perché centinaia di ottimi professionisti possano tornare al ruolo che è stato loro precluso. Tre le condizioni: «Che ritornino a puntare sulla formazione – riassume Catani -, che accettino uno stipendio in cui la parte variabile sia fondamentale e che siano eticamente indiscutibili. Niente di impossibile o slegato dalla realtà. Credo che i dirigenti (fuori o dentro le aziende) siano più che disponibili al cambiamento».Per ripartire, dunque, occorre innanzitutto l’impegno dei singoli. Come ha sottolineato Carlo Sironi, dell’Ambrosianeum: «Dalle grandi crisi si esce storicamente ripartendo dagli uomini. Ambrosianeum ha iniziato la sua attività nell’immediato dopoguerra per contribuire a formare laici cristianamente maturi, capaci di assumere responsabilità nei diversi settori della società civile in campo professionale e amministrativo, in un grande momento di ricostruzione materiale e morale del Paese».
Economia
La crisi colpisce anche i manager: ecco come uscirne
Dibattito promosso da Fondazione Istud e Ambrosianeum. La riflessione proposta dal cardinale Tettamanzi