15/09/2008
di Jean-Dominique DURAND
Università di Lione
Papa Ratzinger, teologo plasmato dalla cultura francese, ha voluto dedicare un momento notevole del suo viaggio in Francia alla cultura, con un incontro con numerosi rappresentanti (650 persone) del mondo culturale francese (scrittori, pittori, musicisti, cantanti, teologi, filosofi, storici, dirigenti dei principali gruppi di stampa, ecc). Lo ha vissuto nel refettorio gotico di un antico convento recentemente restaurato, trasformato dalla diocesi di Parigi in Centro culturale.
Dinanzi a un pubblico particolare, in un luogo così significativo, il Santo Padre ha voluto dare la sua visione della questione culturale in Europa e dei suoi riflessi in una società che ha perduto tanti punti di riferimento. Con una lezione magistrale, assumendo il compito di insegnamento di vescovo di Roma, il Papa ha evitato le trappole del dibattito sulla laicità o le radici della civiltà europea, per proporre un’alta riflessione sul senso della cultura in Europa oggi.
Per sottolineare il legame tra la situazione odierna e i tempi dell’inizio del cristianesimo e quelli della caduta dell’impero romano, ha preso due esempi: il monachesimo di San Benedetto e San Paolo ad Atene quando dice «Passando, infatti, e osservando i monumenti del vostro culto, ho trovato anche un’ara con l’iscrizione: Al Dio ignoto. Quello che voi adorate senza conoscere, io ve lo annunzio».
Come al tempo di Benedetto, quando niente sembrava resistere, il nostro è un tempo di confusione; come nella Atene di Paolo, nella nostra Europa, Dio è tornato “il grande sconosciuto”. È importante, quindi, ricercare Dio, quaerere Deum. Ciò ricorda l’importanza del monachesimo che salvò la cultura antica, e che, con il libro, la biblioteca e la scuola, con la conoscenza e la formazione della ragione, attraverso la musica e la bella liturgia, con la lettura e la parola (leggere e insegnare) e con il lavoro, tutto riassunto nel famoso Ora et labora, è riuscito a ricostruire una cultura europea sulle rovine del mondo antico.
Una cultura, nello stesso tempo, della parola e del lavoro, che si iscrive «nella tradizione praticata per molto tempo dal giudaismo». Il Papa si è fermato sulle “Scritture” e non, ha precisato, sulla Scrittura, per sottolineare che il plurale significa che la Parola di Dio si esprime attraverso la parola umana, cioè «Dio ci parla solamente nell’umanità degli uomini, e attraverso le loro parole e la loro storia».
Significa che la Scrittura ha bisogno dell’interpretazione, della comprensione, e senza tale interpretazione il rischio grande è cadere nel fondamentalismo e nel fanatismo. Tale libertà di interpretazione non significa il soggettivismo perché esiste un legame superiore: quello dell’intelligenza e dell’amore. La cultura europea si muove in questa tensione tra libertà e appartenenza, che «ha profondamente modellato la cultura occidentale», fino a oggi, una cultura che si colloca più che mai tra i due poli, le due sfide dell’«arbitrario soggettivo» e del «fanatismo fondamentalista».
L’annuncio della Parola è necessario, la fede cristiana deve essere comunicata perché Dio non è uno sconosciuto: «Egli si è mostrato, in persona. E ora, il cammino che conduce a Lui è aperto». La novità dell’annuncio cristiano è, quindi, un fatto, un fatto razionale. Per questa ragione, il Papa rifiuta il pensiero positivista, perché rappresenta una disfatta, un fallimento, una capitolazione della ragione, quindi dell’umanesimo.
Con questa lezione Benedetto XVI ha definito con grande acutezza le fondamenta della cultura europea: «La ricerca di Dio e la disponibilità ad ascoltarlo». Una definizione che può essere condivisa con le altre religioni presenti nel nostro continente, in particolare il giudaismo. Una definizione che suona come la grande sfida del nostro tempo confuso.