Umanizzare la medicina. È questo il contributo che possono offrire i Comitati etici previsti per legge in ogni struttura ospedaliera dove si compie sperimentazione clinica. Nella diocesi di Milano sono 35. La Pastorale diocesana della salute ha organizzato la settimana scorsa un momento di confronto tra i membri di queste realtà.
«I Comitati etici hanno un ruolo istituzionale regolamentato da leggi e decreti del ministero della Salute, che riguarda la sperimentazione clinica dei farmaci – precisa don Paolo Fontana, che partecipa a due Comitati in qualità di esperto di bioetica -. L’ultimo decreto auspica che possano diventare luogo di confronto su problematiche etiche inerenti la prassi clinica e occasione di formazione per medici e infermieri». E proprio sull’auspicio di quello che potrebbero essere «intendiamo promuovere questo secondo aspetto. Certo l’umanizzazione della medicina è una questione più grande dei Comitati, ma possiamo fare la nostra parte, dando qualche input alla relazione medico-paziente, che passa attraverso il consenso informato». Oggi un ricercatore, legato alle Asl e soprattutto a ospedali e cliniche, che intende fare una sperimentazione clinica su un farmaco o per migliorare la prassi clinica, magari dosando il farmaco in modo diverso, oppure di un farmaco nuovo che sta per entrare in commercio, è obbligato a sottoporla al Comitato etico. «Il nostro parere è vincolante per la sperimentazione. In caso di risposta negativa, il ricercatore non può neanche cominciarla». I membri, 13-15 per Comitato, sono scelti dall’amministrazione di riferimento, devono avere connotazione di indipendenza dalla struttura a parte alcuni presenti d’ufficio, come i direttori scientifico e sanitario o il farmacista. Sono previsti anche esperti di bioetica: in questa veste sono una quindicina i sacerdoti impegnati nei Comitati. «Sono luoghi di confronto tra diverse sensibilità culturali e religiose – afferma don Fontana -. Questo può apparire un punto debole, invece diventa il punto di forza di una struttura pluralista e multidisciplinare, che però converge nel custodire la dignità del paziente». Il dibattito pubblico su questi temi è spesso molto acceso… «La dialettica certo rimane – risponde – ma è anche più facile scioglierla, perché siamo lì per il bene del paziente. Conoscendosi tra noi diventa più semplice trovare una via di mediazione». (p.n.)